
Lo sfratto era fissato per l’11 ottobre. Pochi giorni dopo, il 25 ottobre, si sarebbe dovuta tenere l’asta giudiziaria della casa di famiglia, valutata circa 140 mila euro. Due date cerchiate in rosso sul calendario dei fratelli Ramponi, che da tempo vivevano con l’angoscia di un epilogo inevitabile.
Sapevano che non c’erano altre vie d’uscita. La Prefettura e il Comune avevano provato a tendere una mano, offrendo loro un alloggio in montagna dove poter trasferirsi insieme ai propri animali, ma la risposta fu sempre la stessa: un netto rifiuto.
L’attuale vicesindaco Antonello Panuccio conferma come, nonostante mesi di colloqui e tentativi di mediazione, i tre fratelli si siano mostrati intransigenti. Alla base di quella chiusura totale, spiegano i vicini, c’era un rancore profondo che covava da anni, nato da un tragico incidente avvenuto nel 2012.
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Il tragico incidente e le sue conseguenze
Tutto cominciò una fredda sera di gennaio del 2012, a Trevenzuolo, quando uno dei fratelli Ramponi era alla guida di un trattore senza fari accesi. Sulla strada, proveniente in senso opposto, viaggiava Davide Meldo, 37 anni, alla guida di una Peugeot. Lo scontro fu devastante: l’auto prese fuoco e per l’uomo non ci fu nulla da fare.
Nel processo che seguì, la colpa fu attribuita al Ramponi. L’assicurazione si rifiutò di risarcire i danni, proprio perché il mezzo agricolo non era in regola. Da quel momento cominciò una lunga discesa: per coprire le spese legali e il risarcimento, i fratelli furono costretti a vendere parte dei terreni di famiglia e a chiedere un prestito bancario.
Non è chiaro l’importo esatto del finanziamento: alcune fonti parlano di 50 mila euro, altre di 240 mila. Era il 2014, e quella somma avrebbe dovuto essere rimborsata in pochi anni. Ma i fratelli non pagarono mai una rata. Con il passare del tempo, interessi, spese legali e onorari non saldati fecero lievitare il debito fino a una cifra insostenibile.

Tre ditte, un solo destino
Ognuno dei fratelli aveva una ditta individuale, legata ai beni ereditati dal padre. La ditta di Franco Ramponi risulta attiva dal 2009, quella di Dino dal 2019, mentre Maria Luisa aveva avviato la propria nel 2010, per poi chiuderla nel 2019. Dal 2020, la donna percepiva il reddito di cittadinanza, segno di un declino economico ormai inarrestabile.
La loro situazione finanziaria, già compromessa, divenne presto un incubo. La banca, dopo anni di solleciti senza risposta, chiese l’esecuzione forzata e l’intervento del tribunale. A supervisionare la procedura fu designato l’ufficiale giudiziario Pierpaolo Bonini, incaricato di eseguire lo sgombero e la vendita all’asta dell’abitazione.
Il muro contro tutti
Quando arrivarono le prime notifiche di pignoramento, i fratelli Ramponi reagirono con un muro di silenzio e diffidenza. Nessuno rispondeva alle comunicazioni del tribunale o alle lettere della banca. Anche i Servizi sociali, che tentarono più volte di mediare, si trovarono davanti a porte chiuse.
La Prefettura, su richiesta del giudice, coinvolse il Comune nel tentativo di trovare una soluzione abitativa alternativa, ma neppure il medico di base riuscì a ristabilire un dialogo con loro. Le comunicazioni ufficiali si accumulavano, mentre i tre fratelli continuavano a vivere nella casa ormai segnata dal destino.
Nel 2021, la tensione esplose. Due dei fratelli si presentarono in tribunale e minacciarono di buttarsi dal tetto del palazzo di giustizia. Solo l’intervento tempestivo dei vigilantes evitò una tragedia. Da allora, il loro isolamento divenne totale: nessuno riuscì più ad avvicinarli davvero.

Un epilogo segnato dal rancore
La storia dei fratelli Ramponi è quella di una famiglia spezzata dal dolore e dalla sfiducia nelle istituzioni. Dall’incidente del 2012 al fallimento economico, fino allo sfratto imminente, ogni passaggio ha contribuito a erigere un muro di rancore che li ha separati dal resto della comunità.
Oggi, la loro casa è destinata all’asta, mentre il Comune resta pronto ad accoglierli in una nuova abitazione. Ma la domanda che molti si pongono è una sola: i fratelli Ramponi accetteranno, finalmente, di voltare pagina?