
Roma. Il crollo della Torre dei Conti non è stato un evento inatteso, ma la conseguenza di due anni di segnalazioni, relazioni e prescrizioni rimaste sullo sfondo mentre il cantiere procedeva. Le carte tecniche già parlavano di fenditure profonde, solai instabili, infiltrazioni e cedimenti, ma l’urgenza di rispettare i tempi del Pnrr ha prevalso su ogni cautela.
Nel frattempo si pianificava l’apertura al pubblico entro il 2026, con una caffetteria panoramica affacciata sui Fori come simbolo della rinascita del monumento. Lunedì, però, i solai sono crollati sugli operai: Octav Stroici è morto dopo essere rimasto ore sotto le macerie. Ora l’area è transennata, la torre rischia nuovi cedimenti e la Procura ha aperto un’inchiesta.

Le perizie ignorate e la corsa al restauro
Le relazioni interne ricostruiscono una sequenza chiara: prima l’elenco delle criticità, poi l’accelerazione legata al Pnrr, infine l’avvio dei lavori nonostante i dubbi. In commissione, lo scorso febbraio, l’architetto responsabile Federico Gigli aveva ammesso che si temevano dissesti e che le fondamenta stesse dovevano essere individuate con certezza. La relazione dell’8 agosto 2023 elencava fenomeni fessurativi, degrado diffuso e solai “a scarsa resistenza”. Nel documento si affermava che il monumento non garantiva i requisiti minimi di sicurezza, salvo poi indicare la necessità di coniugare conservazione e apertura al pubblico. Una contraddizione che oggi pesa sul fascicolo aperto dai magistrati.

Gli allarmi sui solai e la prescrizione da 400 chili
Il capitolo più delicato riguarda i solai, cinque in più rispetto alla struttura originaria, dichiarati inagibili dal 2007 e destinati alla demolizione. L’ultima perizia dell’ingegnere Stefano De Vito, datata 30 maggio, autorizzava le operazioni fissando un limite preciso: massimo 400 chili per ambiente, equivalenti a due operai e due piccoli macchinari. Quella prescrizione oggi è centrale nell’indagine. I carabinieri stanno verificando quante persone fossero presenti al momento del cedimento: se si fosse superato il limite indicato, la violazione sarebbe avvenuta già nella fase di rimozione dell’amianto.

Il nodo dei fondi Pnrr e il “disguido tecnico”
Sulla gestione amministrativa resta un altro fronte aperto. L’intervento da 6,9 milioni era stato inizialmente escluso dall’accordo quadro con Invitalia, poi trasferito alla società Giubileo per un “problema informatico” della piattaforma della Sovrintendenza. Una parte degli affidamenti è stata attivata in via diretta per non compromettere la scadenza europea del 2026. La Sovrintendenza sostiene che non siano stati applicati né il massimo ribasso né appalti a cascata, ma resta evidente che la priorità era rispettare il cronoprogramma del Pnrr, non consolidare la stabilità del monumento.
Il fascicolo è ora nelle mani dei procuratori aggiunti Antonino Di Maio e Giovanni Conzo. Gli atti sono stati acquisiti, i tecnici ascoltati, e resta da chiarire un’ultima vulnerabilità: lo stesso Gigli aveva ammesso il timore che collegare la torre al Templum Pacis potesse intaccare le fondamenta. Se quel rischio era noto e non affrontato, si apre anche un fronte di responsabilità amministrativa. La torre resta in bilico, i residenti sono stati evacuati e il restauro che doveva restituire il monumento ai cittadini è diventato il simbolo di una corsa contro il tempo pagata con un crollo annunciato e una vita spezzata.


