
A meno di un miracoloso recupero nelle ultime sezioni, Nichi Vendola è destinato a restare fuori dal consiglio regionale della Puglia, proprio nella terra che lo aveva incoronato protagonista di una stagione politica che aveva fatto scuola a livello nazionale. Il risultato di Alleanza Verdi Sinistra, fermo poco sopra la soglia minima, ha spento in poche ore l’attesa creata dal ritorno dell’ex governatore, tornato in lista a vent’anni dalla prima vittoria, con l’obiettivo dichiarato di dare più voce alla sinistra identitaria dentro il campo largo guidato da Antonio Decaro. Nel comitato elettorale di Bari il clima è diventato gelido già dopo le prime sezioni, quando è apparso chiaro che il voto disegnava un plebiscito personale per l’ex sindaco e un ridimensionamento pesante per le forze minori della coalizione.
Il ritorno mancato

La candidatura di Vendola aveva acceso entusiasmo e discussioni dentro tutta l’area progressista pugliese. Presentato come valore aggiunto per una lista che puntava a rafforzare il baricentro ecologista e dei diritti civili, il suo nome aveva riattivato una memoria politica ancora viva in parte dell’elettorato. Ma la legge elettorale regionale e il peso enorme del consenso convogliato su Decaro hanno ristretto lo spazio per i partiti alleati, lasciando Avs sotto la soglia di sicurezza necessaria a garantire l’ingresso del leader di Sinistra Italiana nell’aula di via Gentile. Le preferenze raccolte nelle diverse province non sono bastate a compensare lo squilibrio generato dal premio di maggioranza e dalla distribuzione dei seggi, che premia con forza le liste principali della coalizione di centrosinistra.
La storia politica in Puglia
Vendola resta uno dei simboli più riconoscibili della sinistra pugliese. Nato a Bari e cresciuto a Terlizzi, militante fin dagli anni Settanta, giornalista e autore, è stato il protagonista della cosiddetta “primavera pugliese”, la stagione aperta nel 2005 con la vittoria contro Raffaele Fitto e confermata nel 2010 con il secondo mandato. Quella esperienza aveva trasformato la regione in un laboratorio nazionale, con un intreccio di sviluppo, ambiente, diritti e politiche culturali che per anni aveva rappresentato un modello alternativo dentro il centrosinistra. Conclusa la sua seconda legislatura, Vendola aveva scelto di fare un passo indietro, mentre l’assetto politico nazionale cambiava e nuove leadership emergevano dentro il Partito democratico e nel Movimento 5 Stelle.
Negli ultimi anni era tornato a un ruolo più visibile alla guida di Sinistra Italiana, lavorando alla ricomposizione della galassia progressista più radicale. La decisione di rientrare in campo in Puglia per le regionali 2025 era stata presentata come un gesto politico e personale insieme: un ritorno nella sua terra per dare peso parlamentare alla sinistra che lo aveva accompagnato nella stagione di governo e per contribuire, dall’interno, alla solidità del campo largo costruito intorno a Decaro. La realtà dello spoglio, però, ha mostrato un elettorato polarizzato sul presidente uscente e poco incline a distribuire il consenso sulle liste minori, lasciando Vendola a un soffio da un rientro che sembrava scritto sulla carta ma che non trova conferma nei numeri reali.
Il significato politico dell’esclusione
Se la mancata elezione verrà confermata, l’immagine più forte sarà quella di un leader che ha segnato profondamente la politica pugliese ma che, al suo rientro, trova un panorama completamente cambiato. La Puglia che vota in massa per Decaro non è più la Puglia che scoprì la novità di Vendola nel 2005. È una regione che ha consolidato un modello amministrativo diverso, con nuovi equilibri e un diverso modo di percepire la rappresentanza politica. In questo quadro, l’esclusione dell’ex governatore diventa un segnale di trasformazione più profondo: racconta la difficoltà delle formazioni più piccole nel campo progressista, il peso crescente delle leadership locali fortissime e la fine definitiva di una stagione politica che per anni ha rappresentato un’identità e una narrazione condivisa.


