
La “mani pulite” ucraina deflagra come una scossa tellurica nel cuore politico di Kiev, travolgendo il governo di Volodymyr Zelensky e mettendo a nudo le fragilità di uno Stato impegnato in una guerra totale. L’inchiesta, condotta dal National Anti-Corruption Bureau (NABU) e dallo Specialized Anti-Corruption Prosecutor’s Office (SAPO), ha portato alla luce una rete di mazzette, favoritismi e affari illeciti che coinvolgerebbe alti funzionari pubblici, dirigenti di agenzie statali e personaggi strettamente legati al presidente.
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Al centro delle indagini, la compagnia nucleare Energoatom, colosso che gestisce tutte le centrali atomiche ucraine. Lo scandalo esplode mentre l’esercito russo avanza nel sud-est e le infrastrutture energetiche del Paese subiscono attacchi continui. Un tempismo drammatico, che amplifica il senso di tradimento tra i cittadini e i soldati al fronte: «Come possiamo combattere se a Kiev i corrotti vivono da nababbi alle nostre spalle?», denunciano alcuni ufficiali nel Donbass.
Dimissioni eccellenti e stampa in rivolta
Le prime conseguenze politiche sono immediate. La ministra dell’Energia Svitlana Grynchuk annuncia le proprie dimissioni sui social, mentre il ministro della Giustizia German Galushchenko, che aveva guidato lo stesso dicastero fino a luglio, lascia l’incarico poche ore prima. La crisi travolge i vertici istituzionali, ma anche l’opinione pubblica, che non accetta più il silenzio in nome dell’unità nazionale.
La stampa, dopo mesi di autocontrollo patriottico, torna a esercitare il suo ruolo di cane da guardia del potere. Testate come Ukrainska Pravda e il Kyiv Independent pubblicano inchieste dettagliate, mentre le piazze digitali si infiammano. Di fronte alla pressione crescente, Zelensky cambia tono: da difensore dei propri collaboratori diventa promotore della trasparenza, chiedendo di «indagare fino in fondo, senza eccezioni».

L’ombra di Mindich e i nuovi oligarchi dell’economia di guerra
Figura centrale nello scandalo è Timur Mindich, imprenditore e amico di lunga data del presidente. Per anni considerato un mentore di Zelensky, fu lui a guidarlo nei primi passi del mondo dello spettacolo e a fondare la casa di produzione Kvartal 95, origine della sua popolarità. Oggi, secondo le indagini, sarebbe il fulcro di una rete di tangenti e brogli nei contratti pubblici legati al settore energetico.
Mindich, che avrebbe ricevuto una soffiata poco prima dell’arresto, è riuscito a fuggire all’estero. Ma la sua figura resta al centro di polemiche sempre più intense. Il giornalista investigativo Yuriy Nikolov, fondatore del portale Nashi Groshi, che da anni indaga sugli appalti pubblici, accusa apertamente il presidente: «Zelensky non poteva non sapere chi fosse Mindich. Scriviamo di lui da anni, ben prima dell’invasione russa. Nel 2021 avevamo già documentato il suo interesse per il più grande giacimento di rame e ambra d’Europa, qui in Ucraina. Da allora, mentre i vecchi oligarchi cadevano, Mindich è diventato il favorito del nuovo potere. Con l’invasione, il suo nome è comparso accanto a imprese legate ai settori più opachi dell’economia di guerra: energia e armamenti».
Parole pesanti, che fotografano la trasformazione di Mindich in un simbolo dei nuovi equilibri economici del Paese: un imprenditore che, secondo i detrattori, ha sostituito i vecchi oligarchi nei gangli vitali dello Stato.
Gli accusati e la rete delle tangenti
Il NABU ha formalmente incriminato otto dirigenti pubblici per corruzione, abuso d’ufficio e arricchimento illecito. Tra questi figurano l’ex vice-premier Olekiy Chernyshov, soprannominato “Che Guevara”, e l’ex ministro della Difesa Rustem Umerov, fino a ieri segretario del Consiglio per la Sicurezza Nazionale.
Le prove raccolte includono registrazioni in cui gli indagati utilizzano linguaggi cifrati per discutere di mazzette e contratti truccati. Emergono nomi come quello di Ihor Myroniuk, alias “Rocket”, in passato assistente di Andrii Derkach, l’avvocato fuggito in Russia e oggi membro del Senato di Mosca.
Secondo le indagini, il sistema prevedeva una tangente del 10-15% sulle entrate delle aziende fornitrici di Energoatom, il cui fatturato annuo supera i 4,7 miliardi di dollari. Alcuni dirigenti avrebbero inoltre ritardato le misure di protezione delle centrali nucleari per favorire società “amiche” disposte a pagare. Un comportamento che, nel pieno della guerra, suscita rabbia e indignazione tra gli ucraini.

Zelensky di fronte alla prova della fiducia
Lo scandalo segna la crisi più profonda del mandato di Volodymyr Zelensky. Da sempre accusato di non aver scardinato fino in fondo il malgoverno ereditato dall’era sovietica, il presidente si trova ora a dover dimostrare che la sua promessa di rinnovamento non è solo retorica.
La “mani pulite” ucraina diventa così un banco di prova politico e morale: una battaglia non solo contro la corruzione, ma per la credibilità internazionale dell’Ucraina, impegnata a difendersi sul fronte militare e a convincere i partner occidentali della propria integrità. In un Paese ferito ma ancora in piedi, la giustizia e la trasparenza sono ormai armi di sopravvivenza tanto quanto i carri armati e i droni.


