
L’alba a Copenhagen di mercoledì 19 novembre è stata segnata da un silenzio insolito per le strade della città. Passeggiare lungo i canali e tra le antiche stradine del centro, tra caffè ancora chiusi e la luce tenue che filtrava tra i tetti, offriva un quadro di normalità. Ma sotto questa apparente calma, un clima di attesa politica si percepiva in ogni angolo della capitale danese. I cittadini, abituati da oltre un secolo a un predominio dei socialdemocratici, si preparavano a un cambiamento storico.
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I giorni precedenti erano stati scanditi da dibattiti, comizi e discussioni nei quartieri più popolati e multietnici della città. La gente parlava di sicurezza, welfare, immigrazione e costi della vita, confrontando esperienze personali e opinioni politiche. In questo contesto, ogni voto assumeva un significato particolare, non solo per la città ma per l’intero Paese, riflettendo tendenze europee più ampie e tensioni tra politiche progressiste e strategie più restrittive.

La sconfitta dei socialdemocratici
All’alba è arrivata la conferma: “Abbiamo perso Copenhagen”. L’annuncio della candidata socialdemocratica, Pernille Rosenkrantz-Theil, ha segnato la fine di un dominio storico durato 122 anni. La capitale, amministrata dai socialdemocratici dal 1903, ha scelto questa volta di affidarsi ai socialisti popolari, che esprimeranno il nuovo sindaco, la 39enne Sisse Marie Welling. I socialdemocratici si sono fermati al 12,7%, distanziati dai Rosso-Verdi al 22,1% e dai socialisti popolari al 17,9%.
A livello nazionale, però, i socialdemocratici rimangono il primo partito con il 23,2% dei consensi, anche se registrano un calo di 5,2 punti rispetto al 2021. Il centrodestra del Venstre, con il 17,9%, si conferma la principale forza alternativa e conquista almeno 39 Comuni, rispetto ai 26 dei socialdemocratici, che fino a ieri ne guidavano 44. Nonostante la sconfitta nella capitale, i socialdemocratici mantengono sindaci in città importanti come Aarhus, Odense, Aalborg e Frederiksberg, e continuano a governare nella regione dell’Ostanmark, mentre il Midtjylland e il Nordjylland virano a destra.
Le cause della sconfitta
La premier Mette Frederiksen ha riconosciuto la responsabilità del proprio partito, sottolineando come la grande coalizione con Venstre e i Moderati, in vigore dal 2019, possa aver inciso sul voto. “Ci aspettavamo un calo, ma sembra che sia più significativo del previsto, e ciò evidentemente non ci soddisfa”, ha ammesso Frederiksen, che ha anche difeso la propria linea politica, in particolare il sostegno militare all’Ucraina e le scelte restrittive sull’immigrazione.
Le politiche anti-migranti, che hanno neutralizzato l’estrema destra, hanno tuttavia avuto effetti diversi a livello urbano. Copenhagen, città multietnica con il 20% della popolazione nata all’estero, ha respinto un approccio percepito come eccessivamente restrittivo, confermando la tendenza globale delle grandi città a premiare forze radicali o progressiste sui temi sociali e ambientali.

Politiche sociali e insoddisfazione cittadina
Tra le cause della battuta d’arresto socialdemocratica, anche le problematiche interne alla città: aumento dei prezzi degli immobili, passi indietro sulle politiche verdi e nuove restrizioni per studenti stranieri. Le misure contro l’immigrazione, tra cui restrizioni sui richiedenti asilo, deportazioni, requisizione di beni e norme contro il burqa, pur giustificate dalla difesa del welfare, non hanno incontrato il favore di molti cittadini urbani.
In questo contesto, la candidatura di Pernille Rosenkrantz-Theil, ex ministra per gli Affari sociali e stretta collaboratrice della premier, non è bastata a mantenere il controllo della capitale. La città ha scelto un percorso nuovo, segnando un momento storico e aprendo nuove sfide per il governo e per il partito socialdemocratico, chiamato a riflettere su equilibri locali e nazionali.


