
Una polemica vivace ha infiammato lo studio di Otto e mezzo (La7), dove il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, e il giornalista del Corriere della Sera, Beppe Severgnini, si sono confrontati duramente sul nuovo piano di pace elaborato per porre fine al conflitto tra Russia e Ucraina. Il documento, nato come una bozza di 28 punti redatta dall’inviato statunitense Steve Witkoff e dal capo del Fondo russo per gli investimenti Kirill Dmitriev, è stato ridotto a 19 punti dopo una serie di negoziati tra delegazioni americane, ucraine ed europee.
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Le critiche di Severgnini a Travaglio
Severgnini ha replicato con fermezza alle considerazioni espresse in precedenza da Travaglio, ricordando che «la Russia ha invaso l’Ucraina, voleva conquistarla interamente, ha puntato su Kiev e, dopo oltre tre anni, è ancora bloccata e ha preso soltanto una porzione del Donbass». Il giornalista ha definito il primo documento «un piano completamente sbilanciato», sostenendo che «sembrava scritto altrove» e che «alla Russia veniva concesso tutto, persino più di quanto chiedesse».
Ha poi contestato la linea del Fatto Quotidiano, che titolava sui “bellicisti d’Europa”, domandandosi se «chiunque critichi Putin debba essere definito bellicista». Secondo Severgnini, la versione aggiornata del piano risulta «più realistica» e mette in dubbio la capacità russa di sostenere un conflitto prolungato: «Vogliono dare l’impressione di avere tutto il tempo del mondo, ma forse non ce l’hanno».

La replica di Travaglio e le contraddizioni evidenziate
La risposta di Marco Travaglio è stata immediata e durissima. Ha ricordato come, secondo Severgnini, «i russi sarebbero arrivati a Lisbona se non fermati in Ucraina» e ora, invece, «vengono descritti come impantanati nel Donbass». Un cambiamento di prospettiva che, per il direttore del Fatto, rivela «una contraddizione evidente».
Travaglio ha contestato inoltre l’immagine di una superiorità schiacciante dell’Occidente: «Ci era stato detto che eravamo 40 contro 1, i buoni della Nato contro l’aggressore. E ora scopriamo che a implorare di fermarsi siamo noi». Un ribaltamento che, secondo lui, indicherebbe una situazione molto diversa da quella raccontata nei mesi passati.
Il nodo sul reale obiettivo di Mosca
Il direttore ha poi utilizzato la prima versione del piano per confutare l’idea che la Russia volesse “prendersi tutta l’Ucraina”. Se così fosse, ha sostenuto, «lo avrebbero scritto nel documento». Da qui l’accusa ai suoi interlocutori di raccontare «tutto e il contrario di tutto», presentando ora Mosca come in difficoltà, ora come una potenza espansionistica incontenibile.
Travaglio ha quindi insistito su un punto: se la Russia rimanesse solo con il Donbass e parte di Zaporizia e Kherson, «avrebbe perso». Da questo deriverebbe, secondo lui, l’incongruenza nel definire il piano «una resa dell’Ucraina» e «un trionfo di Putin».
L’avvertimento finale sul prolungamento del conflitto
Nel passaggio conclusivo, Travaglio ha invitato a «guardare la realtà» e a prendere atto che, più il conflitto si prolunga, «più la Russia avanza». Un ragionamento che definisce «il paradosso di questa guerra», sostituendo quello «di Tucidide». Ha infine ricordato come già nel 2022 il generale americano Milley avesse indicato la necessità di un negoziato, sostenendo che un ascolto tempestivo avrebbe potuto risparmiare «vite e territori» all’Ucraina.


