
La politica estera, da sempre terreno scivoloso per qualsiasi maggioranza, torna al centro del confronto politico con toni che riflettono un clima internazionale sempre più acceso. Le parole dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato militare della Nato, hanno innescato una nuova fase di tensione, evidenziando differenze profonde all’interno del governo e riaccendendo il dibattito sul ruolo dell’Europa nel sostegno all’Ucraina e sul futuro della sicurezza continentale. Il contesto è già reso fragile dal continuo ampliarsi dello scandalo corruzione legato agli aiuti a Kiev e dalle pressioni che arrivano dalla nuova Amministrazione statunitense.
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Il nodo principale resta quello delle strategie dell’Alleanza Atlantica nei confronti della guerra ibrida russa, un terreno in cui la distinzione tra attacco e difesa appare sempre più sottile. È proprio su questo crinale che si inseriscono le dichiarazioni di Dragone, destinate a far discutere non solo i governi europei, ma anche gli equilibri interni della politica italiana, dove il dibattito tra sostegno all’Ucraina e timori di escalation resta apertissimo.

Nato e risposta alla guerra ibrida
In un’intervista che ha avuto un effetto immediato sul fronte diplomatico, Cavo Dragone ha spiegato che la Nato sta valutando la possibilità di essere “più aggressiva” nella risposta agli attacchi informatici, ai sabotaggi e alle violazioni dello spazio aereo attribuiti alla Russia. L’ammiraglio ha aperto esplicitamente alla possibilità di un atteggiamento più proattivo, superando la tradizionale postura difensiva dell’Alleanza: “Stiamo analizzando tutto… Sul fronte informatico siamo reattivi. Essere più aggressivi invece che reattivi è una possibilità che stiamo considerando”.
La replica di Mosca è stata immediata e durissima. La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha definito le parole dell’ammiraglio “un passo estremamente irresponsabile”, accusando la Nato di alimentare un rischio di escalation e mettendo in guardia dalle “possibili conseguenze anche per i Paesi membri”. Un linguaggio che testimonia quanto fragile resti la linea di confine tra deterrenza e provocazione.
Il terremoto politico a Roma
In Italia, le dichiarazioni di Dragone hanno generato un effetto domino. Proprio nelle stesse ore in cui la Lega, per voce della vicesegretaria Silvia Sardone, attaccava Ursula von der Leyen accusandola di aver “distrutto” l’automotive con il Green Deal, l’intervista dell’ammiraglio ha ulteriormente acuito le fratture nella maggioranza.
La reazione ufficiale del Carroccio è arrivata dopo diverse ore, ma con toni durissimi: “Gettare benzina sul fuoco con toni bellici o evocando attacchi preventivi significa alimentare un’escalation. Non avvicina la fine del conflitto: la allontana. Serve responsabilità, non provocazioni”. Un messaggio che, pur senza citare Dragone, appare chiaramente rivolto alle sue dichiarazioni.
Dal resto del governo, invece, è calato il silenzio. Una scelta che tradisce l’imbarazzo per una posizione complessa da gestire, soprattutto alla luce del ruolo istituzionale ricoperto dall’ammiraglio all’interno della Nato.

La posizione della Difesa e l’imbarazzo del governo
Le uniche parole arrivate da ambienti governativi sono quelle di fonti del ministero della Difesa, guidato da Guido Crosetto, che hanno sottolineato come l’Italia sia “parte integrante della Nato” e che pertanto “tutte le opzioni, compresa quella evocata dall’ammiraglio Dragone, sono sul tavolo”. Un’affermazione interpretata come un avallo ufficioso, nonostante il tono prudente.
La situazione mette in difficoltà anche la presidente del Consiglio, impegnata in colloqui internazionali, che si è limitata a ribadire che “la Russia deve dimostrare di voler arrivare alla pace”. Ma proprio il ruolo italiano in un eventuale scenario di confronto diretto tra Nato e Russia rappresenta una delle preoccupazioni principali di Palazzo Chigi, soprattutto mentre i rapporti con Donald Trump vengono coltivati nella speranza di favorire un cessate il fuoco.
Il rischio di escalation e la preoccupazione della maggioranza
Le parole dell’ammiraglio italiano rappresentano un salto di qualità significativo: aprono all’ipotesi di interventi diretti contro droni russi e azioni mirate nell’ambito della guerra ibrida. Questo scenario, che la Nato non esclude, potrebbe provocare una reazione russa soprattutto contro i Paesi più esposti, come le Repubbliche Baltiche o la Polonia.
Un rischio che nella maggioranza di governo viene percepito come altamente destabilizzante. Fratelli d’Italia e Forza Italia, da sempre sostenitori degli aiuti militari a Kiev, hanno sempre precisato che l’Italia “non è in guerra con la Federazione Russa”. Le dichiarazioni di Dragone sembrano invece collocare l’Italia — e l’Alleanza — in una posizione molto più vicina a un confronto diretto.
Per la Lega, già critica su invio di armi e politiche di riarmo europeo, questa evoluzione è considerata inaccettabile.
Una maggioranza in fibrillazione
Il quadro è chiaro: lo scenario di un confronto più diretto tra Nato e Russia non è imminente, ma non è nemmeno escluso. E questo basta per creare frizioni molto profonde all’interno della coalizione di governo.
Il risultato è un clima di crescente insicurezza politica, con una parte della maggioranza che denuncia aperture pericolose e un’altra costretta a sostenere la linea dell’Alleanza, pur senza voler compromettere i rapporti diplomatici e il tentativo di favorire un percorso negoziale.
Le parole dell’ammiraglio Dragone, al centro dell’Alleanza Atlantica e allo stesso tempo figura italiana, hanno così messo in luce tutte le contraddizioni di una maggioranza che, davanti ai grandi scenari internazionali, si scopre ancora una volta divisa e vulnerabile.


