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Bitcoin: una minaccia per l’ambiente?

Pubblicato: 18/04/2020 11:17

Per creare i Bitcoin e far funzionare l’intero sistema di validazione ed esecuzione delle transazioni è necessario consumare una grande quantità di energia elettrica. L’attività di emissione dei Bitcoin, tecnicamente definita mining, richiede un enorme lavoro di calcolo computazionale e di conseguenza un grande consumo di energia.

Gli utenti che validano le transazioni – definiti nodi – entrano nel sistema perché spinti dalla ricerca di profitto. Per questo, più alto risulta essere il valore di ogni singolo Bitcoin, più persone si mostrano incentivate a lavorare per sostenere la sua struttura e si conteggia così il consumo di una sempre maggiore energia a livello mondiale. 

In definitiva, quanto più diffuso sarà l’utilizzo del sistema Bitcoin tanto più alto risulterà il consumo di energia impiegato.
Infatti, mentre all’inizio della vita del Bitcoin un buon personal computer si dimostrava più che sufficiente a produrre le criptovalute, oggi è necessario utilizzare una miriade di processori collegati in serie: le miniere di Bitcoin sono giganteschi capannoni dove migliaia di hardware lavorano insieme senza pausa, assorbendo quantità enormi di energia elettrica. 
Ma quanto consuma effettivamente il sistema Bitcoin?

I consumi energetici del Paese Bitcoin

Alcune ricerche in campo energetico hanno calcolato che la quantità media di elettricità impiegata in un anno per produrre Bitcoin supera i consumi energetici annuali medi di ben 159 nazioni.
In base alle stime fornite dall’analista esperto di blockchain Alex de Vries, l’intera rete Bitcoin consumerebbe circa 70 terawattora (TWh) di elettricità, la stessa quantità di energia utilizzata annualmente da Paesi come Repubblica Ceca, Colombia o Austria.

industria dall'alto
industria dall’alto (immagine di repertorio)

Tuttavia, è bene sottolineare che i dati relativi al consumo energetico del sistema Bitcoin devono essere presi con le molle poiché non è semplice stabilire con precisione quanta energia assorba l’intera rete. Peraltro non è possibile tacere il fatto che vi siano altre stime, molto più prudenziali, che calcolano un consumo pari a “soli” 13 TWh annui.

Indipendentemente dai calcoli di riferimento adottati, sembra ormai evidente che il sistema Bitcoin divori tanta energia quanta ne consuma una vera e propria nazione con milioni di abitanti.

Bitcoin vs Unione Europea: consumi energetici a confronto

Per un confronto efficace e il più possibile attendibile, possiamo prendere come riferimento gli ultimi dati disponibili riferiti all’anno 2018 elaborati dall’Ufficio Statistico dell’Unione Europea “Eurostat” e pubblicati nel paperSupply, transformation and consumption of electricity”. Queste misurazioni individuano il consumo energetico annuale dell’Unione Europea di 28 Stati in circa 2.750 TWh.

bandiera unione europea
bandiera unione europea (immagine di repertorio)

Secondo queste statistiche e per farsi un’idea più dettagliata della fruibilità media, un Paese come l’Irlanda consumerebbe circa 27 TWh in un anno, per il Portogallo si calcola un consumo di circa 47 TWh e per un piccolo Paese come la Croazia si contano circa 16 TWh consumati in un anno solare. Malta consumerebbe soli 2 TWh negli stessi dodici mesi. La Germania assorbirebbe oltre 500 TWh in un anno e un Paese come l’Italia circa 290 TWh nello stesso lasso di tempo. 
A conti fatti il sistema Bitcoin consumerebbe come un vero e proprio Stato europeo di medie dimensioni.

Inoltre, se l’hashrate totale, ovvero la potenza computazionale di elaborazione della rete, dovesse incrementarsi ulteriormente nei prossimi anni così come è possibile aspettarsi e se si conteggiassero tutte le criptovalute alternative al Bitcoin, la bomba ecologica relativa al denaro digitale crittato potrebbe davvero esplodere.

Bitcoin contribuisce al surriscaldamento globale?

Viste le stime relative ai consumi energetici della rete Bitcoin, è possibile ipotizzare un sensibile contributo delle criptovalute al riscaldamento globale. Considerando la quantità di energia consumata secondo le stime peggiori, si calcola che la gestione dei Bitcoin abbia prodotto nei soli ultimi anni una quantità media per anno di circa 69 milioni di tonnellate di anidride carbonica dispersa nell’atmosfera.

orsi polari neve
orsi polari (immagine di repertorio)

Una quantità molto simile alle emissioni prodotte dagli Stati di Israele, Perù, Marocco, Austria e Bielorussia, almeno secondo i dati elaborati dall’organizzazione “Global Carbon Project” .

 Per fare un valido esercizio di paragone è opportuno considerare le statistiche pubblicate dal Parlamento Europeo, secondo le quali un piccolo Paese come Malta arriva a produrre circa 2 milioni di tonnellate di CO2 in un anno e  l’Italia, nello stesso periodo, ne riesce a generare circa 427 milioni. Sulla base di questi dati, appare sempre più plausibile la possibilità che nel giro di soli pochi anni il sistema Bitcoin possa contribuire davvero e fortemente all’aumento della temperatura per l’intero pianeta.

Innovazioni Bitcoin: l’asso nella manica

La spinosa questione dei consumi e del relativo inquinamento ambientale è naturalmente molto sentita anche all’interno della comunità Bitcoin. Per questo, nel corso degli anni, ci sono stati molti tentativi di ridurre le emissioni e di trovare soluzioni concrete al problema.

Un primo espediente è stato quello di rendere più efficienti gli hardware che si occupano di gestire la rete Bitcoin e difatti le macchine utilizzate per minare BTC diventano ogni anno sempre più performanti. Basti pensare che l’Antminer S9 di Bitmain è 2,5 volte più efficiente nel consumo di energia rispetto al suo predecessore S7. Inoltre la ricerca e lo sviluppo che mira a rendere sempre migliori i processori non si ferma ed è in continua evoluzione.

problem solution
problem solution (immagine di repertorio)

Gli sviluppatori del sistema Bitcoin sono costantemente alla ricerca di soluzioni pratiche per migliorarne l’efficienza anche dal lato software. Negli scorsi anni abbiamo assistito all’implementazione del protocollo SegWit che ha permesso di occupare sempre meno spazio di memoria sulla blockchain, rendendo le transazioni più leggere in termini di byte.  Oggi stiamo assistendo ai primi esperimenti di sviluppo della rete Lightning che permetterà di eseguire le transazioni off-chain, ovvero senza la necessaria trascrizione sulla blockchain: una soluzione che potrebbe consentire un enorme risparmio in termini di consumi elettrici.

Bitcoin ECOFRIENDLY

Un’altra possibile soluzione per contrastare i danni ambientali causati dagli enormi consumi potrebbe essere quella di ricorrere a fonti di energia rinnovabili. Già oggi, in giro per il mondo, esistono tantissime start-up che si impegnano ad utilizzare fonti di energia pulita come le centrali idroelettriche austriache, quelle eoliche del Nord Africa, gli impianti fotovoltaici australiani oppure gli impianti geotermici del Nord Europa, al fine di rendere l’attività di mining per le criptovalute un’attività sempre più eco-compatibile.

bambina sulla spiaggia tramonto
bambina sulla spiaggia al tramonto (immagine di repertorio)

Non è un caso che la stragrande maggioranza dell’hashrate di Bitcoin provenga dalla Cina e in particolare dalla regione dello Sichuan – che letteralmente significa “quattro fiumi” – dove la principale fonte di energia è garantita proprio dalle centrali idroelettriche.

Per questo, in una recente intervista Jihan Wu, co-fondatore della più grande azienda produttrice di hardware specializzati per il mining di Bitcoin, ha sostenuto che almeno il 70% dell’energia utilizzata per mettere in sicurezza e far funzionare l’intera rete provenga esclusivamente da fonti rinnovabili. 

Dopotutto una delle nuove sfide del sistema Bitcoin è proprio quella di gestire le criptovalute utilizzando principalmente energia pulita. Una virtù che diventerà ben presto necessaria per tutelare le nuove generazioni e per consentire al Bitcoin di rappresentare davvero il denaro del futuro.