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Un Reddito di Cittadinanza da rivedere

Pubblicato: 25/02/2021 10:34

Probabilmente se il Reddito di Cittadinanza non fosse stato introdotto nel 2019 sarebbe stato, presumibilmente con tutt’altro nome, inserito nel 2020 tra gli strumenti di contrasto alla crisi economica indotta dalla pandemia di Covid. Non è un caso che l’anno scorso è stato varato il Reddito di Emergenza per prestare aiuto a coloro che pur in condizioni di disagio non sono così poveri da rientrare tra i percettori del Reddito di Cittadinanza, nonché agli immigrati residenti da meno di 10 anni in Italia, che erano stati esclusi per ragioni meramente politiche dal governo gialloverde.

Si tratta del resto di un sussidio radicalmente diverso da quello che i sostenitori del Movimento 5 Stelle e di settori della sinistra immaginavano nei primi anni 2010, e che ormai non rispecchia neanche più il nome che gli era stato dato. Lontanissimo dalla suggestioni utopiche di chi voleva una sorta di reddito di base per tutti i cittadini solo per il fatto di esistere, e anche dalle più moderate ma pur sempre generose promesse di chi pensava di dare 780 euro a tutti coloro che non avessero un lavoro.

Non a caso la spesa complessiva per il Reddito di Cittadinanza fu all’inizio minore del previsto, al punto che il deficit di bilancio del 2019 fu inaspettatamente uno dei più bassi da più di 10 anni, solo dell’1,7% del PIL. Numeri ovviamente cancellati dalla pandemia. Questo non vuol dire che il RdC non meriti di essere rivisto e migliorato. Il margine c’è.

Crescono i percettori e gli importi degli assegni

I dati dell’INPS intanto testimoniano il fatto che la pandemia ha incrementato il numero dei percettori del Reddito di Cittadinanza sia a livello di nuclei familiari che di persone.

I primi sono passati da poco più di 1,1 milioni a quasi 1,6. I secondi da 2,7 a 3,7 milioni. Si tratta di coloro che hanno avuto diritto a un assegno almeno per un mese. 

Ed è un aumento, del 42,8% se consideriamo i nuclei, del 37,9% se guardiamo alle persone, che appare spalmato in tutto il Paese. Anzi, nel Mezzogiorno, dove vi è la maggioranza assoluta dei beneficiari, l’incremento è stato leggermente inferiore che altrove. A testimonianza dell’importanza dell’impatto della pandemia. Che ha fatto in modo per esempio che 2 milioni e 387 mila persone su 20,5 milioni nel Sud e nelle Isole dipendano da questo sussidio. Sono l’11,6% della popolazione. 

Dati nuclei percettori e persone
Dati INPS, rielaborazione di Momento Finanza

Questi numeri di per sé fanno capire anche ai più accesi avversari del Reddito di Cittadinanza come non si possa nel mezzo della peggiore emergenza economica dal Dopoguerra semplicemente abolirlo. Ormai di fatto non lo pensa più nessuno, anche coloro che si erano opposti alla sua introduzione. 

Ma si dovrebbe per esempio vigilare molto di più sugli abusi, visti gli strani numeri sulle revoche e le decadenze dal diritto di riceverli che l’INPS mostra.

In proporzione più revoche e decadenze al Nord

Sono naturalmente previsti dei casi in cui il sussidio può essere revocato. E non sono neanche pochi. Per esempio se ci si rifiuta di dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, o se non si accettano tre proposte lavorative, o, e forse questi sono i casi più importante, se il beneficiario è scoperto svolgere un lavoro o non comunica la variazione della situazione economica. 

Ebbene, mentre nel Nord Italia vi è il 24,5% dei nuclei percettori di RdC è qui che si concentra il 28,3% delle revoche comminate e delle decadenze. Al contrario la quota del Mezzogiorno è stata del 55,7%, nonostante siano il 59,9% del totale i beneficiari del Sud e delle Isole.

A guardare questi numeri sembrerebbe che al Nord vi sia una maggiore presenza di violazioni, di percettori che lavorano in nero, o che guadagnano più del minimo ISEE consentito senza dirlo.

O forse al Nord sono scoperti con maggior frequenza? È difficile credere che proprio laddove è più presente il fenomeno del lavoro irregolare, che colpisce soprattutto le fasce a basso reddito, le stesse che sono interessate dai sussidi come il Reddito di Cittadinanza, vi siano meno revoche e decadenze per violazioni.

È molto probabile che in realtà vi sia bisogno di un’attività ispettiva molto più profonda, quella che anche per motivi legati alla pandemia nel 2020 è del resto mancata.

Dati revoche e decadenze
Dati INPS, rielaborazione di Momento Finanza

Le famiglie numerose con figli sono penalizzate rispetto ai single

Un altro aspetto da rivedere, e infatti un po’ se ne è parlato, è quello che riguarda le tipologie di beneficiari favoriti dall’attuale sistema di assegnazione degli assegni del Reddito di Cittadinanza, soprattutto a livello di importi. Che sono molto spalmati.

La cifra percepita da nuclei numerosi e con figli o disabili non è di molto superiore a quella che ricevono single o coppie senza prole.

Un nucleo di 4 persone con figli riceve 693,2 euro, quindi 173,3 euro a testa, mentre una coppia che non ne ha ne prende 520,4, 260,2 per ognuno, decisamente di più considerando l‘importo pro capite. Un gap forse eccessivo, anche calcolando le ovvie economie di scala di una famiglia numerosa. 

Gli importi medi più alti, i 747,1 ricevuti dalle famiglie di 6 o più componenti con disabili, non sono neanche il doppio di quello che prende un single senza figli.

Eppure sappiamo che in Italia la categoria più colpita dalla povertà è proprio quella dei nuclei numerosi con più di un figlio.

Dati importo mensile in base alla condizione
Dati INPS, rielaborazione di Momento Finanza

Puntare sulle politiche attive del lavoro

L’esito finale del Reddito di Cittadinanza sulla carta dovrebbe essere quello di portare il beneficiario a un impiego. È questo il ruolo dei famosi navigator, coloro che dovrebbero assisterlo in questo tentativo. 

In un Paese in cui la disoccupazione è di solito di lungo periodo non ci si può aspettare che ciò possa avvenire per tutti, non succede neanche in Germania, ma è chiaro che ci sono ampi margini di miglioramento rispetto ai risultati ottenuti finora. Secondo Anpal nell’ottobre del 2020 solo 192.851 percettori avevano ottenuto un lavoro, solo il 14,1% dei beneficiari totali. Di più, il 25,7%, aveva ricevuto un contratto, ma evidentemente una parte rilevante non ha potuto mantenere il lavoro anche per la pandemia. Una percentuale che scende proprio nelle regioni del Sud, quelle con il maggior numero di percettori del RdC.

È allora necessario rafforzare le politiche attive del lavoro, per tutti, e non solo per chi prende il Reddito di Cittadinanza, cercando di portarle a livelli almeno europei.

Se infatti sulla carta l’Italia sembra spendere più della media in politiche per il lavoro quelle attive in realtà assorbono una minima parte di queste. Per l’assistenza alla ricerca del lavoro spendiamo solo lo 0,06% del PIL, contro il 0,43% della Germania e il 0,38% della Danimarca. Che sborsa per la formazione un altro 0,39%, sempre del PIL, mentre l’Italia solo il 0,11%, meno di Francia e Germania. Al contrario versiamo l’1,13%, quasi il doppio della media OCSE, molto più della Germania, per i sussidi di disoccupazione o i sostegni al reddito come il RdC.

C’è un evidente squilibrio che va sanato.

Spesa in % sul PIL in politiche per il lavoro
Dati OCSE, rielaborazione di Momento Finanza