Vai al contenuto

Giulio Regeni: 3 anni dopo, tutti i perché dietro una morte che nessuno vuole chiarire

Pubblicato: 01/07/2019 14:41

Dal 3 febbraio 2016, giorno del ritrovamento del cadavere di Giulio Regeni, ciò che era il ricercatore di Cambridge si è trasformato: il giovane ragazzo di Fiumicello, pieno di talento e voglia di cambiare il mondo, è divenuto qualcos’altro.

Le immagini del suo corpo martoriato non sono mai state mostrate: di Giulio Regeni abbiamo i primi piani sorridenti e gli occhi accesi, e il suo nome è diventato il simbolo -su sfondo giallo- di chi cerca di lottare per la verità e muore nell’intento. La verità su Giulio Regeni, che sembra non poter (voler?) venire a galla, si insinua in storie e contesti socio-economici non solo appartenenti a Il Cairo (sua terra di vissuto e di morte) ma anche ad altri luoghi, indirettamente o direttamente connessi al 28enne Giulio.

Egitto, dove Al Sisi zittisce gli oppositori politici

Proprio pochi giorni fa, d’altronde, un atto di forza del governo di Al Sisi non è passato inosservato, ed ha dimostrato come il governo egiziano non voglia mollare la stretta sulla ricerca ossessiva di potenziali sovversivi e nemici del regime.

Nella notte tra mercoledì e giovedì sono stati arrestati 8 attivisti che, nelle scorse settimane, avevano progettato la nascita di un nuovo movimento politico, la Coalizione della Speranza. Tra i suoi ideatori c’era l’avvocato Ziad el-Elaimy. Il movimento avrebbe potuto crescere nell’ottica di presentarsi per le elezioni egiziane del 2020: evidentemente non c’era l’intenzione di dargli la possibilità di crescere. L’ultimo voto, nel 2018, aveva visto Al-Sisi trionfare con un inquietante 95% dei consensi, mentre l’unico rivale politico faceva meno volti delle schede nulle.

Il Cairo, che ha visto sparire gli ambulanti

Nei mesi precedenti alla sua morte, Giulio Regeni aveva una precisa missione accademica: raccontare le lotte dei sindacati dei venditori ambulanti de Il Cairo. Regeni aveva stabilito vari rapporti con figure chiave del sottobosco dei venditori di zona Piazza Tahrir, tra cui proprio Mohamed Abdullah, referente del Sindacato degli ambulanti ma anche informatore della Sicurezza Nazionale, i servizi di polizia che sarebbero dietro la morte di Giulio. Abdullah, a quanto apre, avrebbe consegnato Regeni come persona che poteva rappresentare un rischio. I venditori ambulanti sono poveri, ed essere al servizio di Al Sisi come informatore poteva significare avere un’entrata extra.

L’attenzione riversatasi sul commercio degli ambulanti dopo la morte di Giulio Regeni ha però cambiato tutto: le bancarelle sono state spostate dal centro alla periferia, dove meno occhi le possono notare, e i loro commerci hanno subito una rovinosa caduta. A raccontarlo, sotto anonimato, è un funzionario sindacale de Il Cairo, e a raccogliere le sue confidenze è Il Fatto Quotidiano: “La leadership del sindacato autonomo degli ambulanti è stata smantellata, così come la quasi totalità del sistema sindacale autonomo. In effetti, oggi, non resta più quasi nessuno ad occuparsi dei diritti, veri e reali, dei lavoratori in Egitto”.

Trieste, dove il nome di Giulio sparisce

Il cartellone con la scritta “Verità per Giulio Regeni” su sfondo giallo ha colorato i balconi istituzionali di molte città italiane. Un’ombra è stata però gettata nel momento in cui Trieste, la città in cui Giulio è nato ed ha studiato, ha deciso di levare dal palazzo della Giunta Regionale lo striscione che lo ricordava. Lo striscione pare sia stato tolto per un’altra nobile causa: poter ospitare al suo posto i manifesti per il campionato di calcio Under 21. Uefa e Cigl hanno preso le distanze da tale decisione, mentre Massimo Fedriga, governatore del Friuli Venezia Giulia, ha dichiarato: Lo striscione non verrà più esposto né a Trieste né in altre sedi di Regione”. Il governatore ha anche ribadito che, fosse stato per lui, l’avrebbe anche tolto prima, ma non avrebbe voluto trasformare Giulio in strumento politico: “Malgrado non condivida la politica degli striscioni e dei braccialetti, non l’ho fatto rimuovere per più di un anno per non portare nell’agone politico la morte di un ragazzo (…) Evidentemente la mia attenzione per non urtare le sensibilità non ha pagato, e ci si sente pertanto legittimati a imporre con atteggiamenti prevaricatori cosa deve o non deve fare la Regione”. Per far riappendere lo striscione è stata anche attivata una petizione online su Change.org, che ha già superato le 44mila firme.

Zohr, dove il petrolio domina sulla diplomazia

Se negli anni non si è mai andati veramente a fondo con la questione Regeni, oltre ad immense difficoltà diplomatiche tra le autorità italiane e quelle egiziane, ci potrebbe essere anche una decisione di tipo economico. Da una parte, abbiamo un ragazzo di 28 anni, ucciso perché sospettato di essere pericoloso per il regime, torturato e ucciso brutalmente; dall’altra, abbiamo interessi economici per decine di miliardi di euro tra il nostro paese e l’Egitto, che potrebbero verosimilmente essere messi a repentaglio se il governo italiano puntasse i piedi sull’affaire Regeni.

A rendere il tutto ancor più compromesso c’è la scoperta di un enorme giacimento petrolifero a Zohr, in Egitto, da parte dell’Eni. Il giacimento ha già permesso di garantire a Eni enormi guadagni futuri ed ha fatto nascere dal nulla 40mila posti di lavoro per l’Egitto, nonché la libertà di affrancarsi dal giogo del carburante naturale che il Paese comprava negli Stati Uniti. 

Non solo carburante, comunque: anche le armi rappresentano per l’Italia un bene spendibile e assai redditizio in Egitto. Questo Paese sarebbe infatti il terzo acquirente di armamenti italiani. Aziende come Fiocchi e Beretta esportano in Egitto ogni anni quantità ingenti di armamenti, che gli egiziani pagano profumatamente.

Difficile, in un contesto così idilliaco dal punto di vista degli accordi economici, che l’ambasciata italiana a il Cairo acconsenta alla richiesta della famiglia Regeni di dichiarare l’Egitto “Paese non sicuro”.

Cambridge, dove Giulio studiava

Tra coloro che sapevano chiaramente quanto fosse pericoloso quello che Giulio Regeni stava facendo, ci sono sicuramente le professoresse che coordinavano il lavoro di Giulio Regeni. Una era a Cambridge, università-madre in cui Giulio faceva il dottorato. L’altra era la docente dell’American University of Cairo, punto d’aggancio accademico di Regeni in loco. Sia Maha Abdelrahman (Cambridge) che Rabab El Mahdi (Il Cairo) sapevano che infiltrarsi negli ambienti dei sindacati degli ambulanti egiziani, sotto un governo severo (a dir poco) come quello di Al Sisi, sarebbe stato un salto nel vuoto per chiunque. A maggior ragione sarebbe stato pericoloso per Giulio Regeni, che per quanto fosse un giovane studente dalle enormi potenzialità e dal grande talento, era comunque un dottorando con un’esperienza limitata per alcuni aspetti. La morte di Giulio Regeni trova dunque radici anche in un mondo accademico che non ha saputo per alcuni versi proteggerlo, e che poco finora è stato interpellato al riguardo.

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2019 14:56