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Affidi illeciti, parlano i genitori vittime del caso: “Mi dissero che io ero omofobo”

Pubblicato: 08/07/2019 11:17

I genitori finiti vittime del giro di affidi illeciti di Reggio Emilia hanno cominciato a parlare. Sono così emerse diverse testimonianze che mostrano come non solo gli assistenti sociali agissero in modo illecito, ma anche come fosse enorme l’entità delle false informazioni che venivano create ad arte per allontanare i figli dai genitori.

Diversi genitori hanno deciso di affidare in forma anonima le loro storie a Il Giornale: ora che l’incubo è finito, è più facile raccontare il turbine di dramma nel quale si sono trovati loro malgrado.

Il metodo della colpevolizzazione, per togliere i figli

Giulia (nome di fantasia) si era affidata ai servizi sociali per avere un aiuto in un momento difficile: il marito aveva cominciato a bere un po’ troppo e ogni tanto aveva atteggiamenti aggressivi nei confronti della moglie e i figli. Una volta venuta a contatto con gli assistenti sociali non si era sentita però tutelata, bensì messa sotto accusa: Ogni volta cercavano di incolpare me. Perché proprio me? Io non c’entravo nulla. Io ero vittima di mio marito, eppure su di lui non hanno detto niente. Anzi, a volte, sembrava che lo giustificassero. Più volte mi sono fatta delle domande e sono entrata in crisi”. La creazione di un sentimento d’insicurezza pare sia stato uno dei lei motivo del modus operandi degli assistenti sociali.

La madre: “Era tutto troppo strano”

I figli di Giulia sono stati obbligati a passare giornate intere con gli assistenti sociali, che alla madre dicevano che doveva costringere i bambini ad andare da loro anche quando non volevano. Lo scopo, ormai si sa, era affidare quei bambini ad amici e conoscenti, e permettere a quest’ultimi di avere i finanziamenti pubblici previsti per il mantenimento di un bambino da parte degli affidatari. A volte venivano anche inventate patologie e problemi di salute dei bambini: così, la malattia avrebbe garantito un mantenimento più alto. Nel caso di Giulia, non sono comunque riusciti nel loro intento: la donna si era insospettita: “I miei figli mi raccontavano che li facevano solo disegnare, che non si divertivano e non ci volevano andare. Non me la sono sentita di continuare. Era tutto troppo strano“.

Il padre: “La camera dei bambini era troppo pulita”

Anche il caso di Michele (altro nome di fantasia) è scioccante. La sua storia comincia con una denuncia per maltrattamenti portata avanti dalla sua ex moglie, andata a vivere con la nuova compagna dopo la separazione. la denuncia era poi stata archiviata, ma ciò aveva portato a varie, ossessive visite degli assistenti sociali che nel tempo avrebbero sollevato diverse contestazioni all’uomo, di fatto incomprensibili. “Mi contestavano che la casa non fosse idonea a far vivere i miei figli” racconta Michele al giornale, aggiungendo: “Mi hanno detto che la camera dei bambini era troppo pulita, quasi che loro non avessero mai dormito in quella stanza. I giocattoli erano riposti nell’armadio e anche questo a loro non tornava. Cercavano sempre delle scuse, a volte banali”.

Nelle relazioni, comparivano le versioni “contraffatte” ormai note per essere al centro delle indagini: la figura paterna, in questo caso, veniva disegnata come origine di malvagità. Le cose sono andate avanti finché l’assistenza sociale è riuscita nel suo intento: da un anno Michele non vede più i suoi bambini, che gli sono stati tolti in modo assurdo: Chiesi spiegazioni e mi dissero che io ero omofobo. E che dovevo cominciare ad abituarmi alle relazioni di genere”. Le conseguenze sui minori sono state fortemente negative, soprattutto sul figlio minore: “Sta soffrendo molto, questa situazione lo sta distruggendo e io ho le mani legate. Ha degli atteggiamenti preoccupanti, me lo hanno detto anche le insegnati di scuola. Dice spesso che non sa che farsene della sua vita, che vuole morire”.

Gli assistenti sociali iniziano a parlare

D’altronde, i primi interrogatori hanno permesso di capire dalle assistenti sociali stesse che le ricerche sulle famiglie e sui contesti in cui vivevano i bambini non venivano effettuate: “Io non sono mai stata in quella casa”, dice ai magistrati una delle indagate, come riportato da Chi l’ha visto?. Eppure, nelle relazioni la casa di cui parla veniva descritta nei minimi dettagli, ovviamente in maniera negativa: sporco e fatiscenza. La casa in questione, a quanto pare, non era affatto inadatta ai bambini, anzi. c’era pulizia, ordine, giocattoli e segni dell’affetto dei genitori per il figlio. Successive verifiche dei carabinieri, riporta Il Giornale, mostravano la realtà: “In un sopralluogo di pochi mesi successivi, i militari rilevavano nel domicilio una condizione positiva e assolutamente diversa da quella riscontrata e descritta nella relazione del servizio sociale”.