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I genitori di Regeni contro l’ambasciatore al Cairo: “Non gli interessa la verità”

Pubblicato: 04/02/2020 15:27

Per la prima volta Paola Deffendi e Claudio Regeni hanno parlato davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta in merito alla vicenda che ha visto come sfortunato protagonista loro figlio, il ricercatore Giulio Regeni.

Le dichiarazioni dei genitori di Giulio Regeni

L’ambasciatore italiano al Cairo da molto tempo non ci risponde: evidentemente persegue altri obiettivi rispetto a verità e giustizia“. È il commento forse più duro e accusatorio da parte di Claudio Regeni a proposito dell’operato di Giampaolo Cantini, ambasciatore italiano al Cairo dal settembre 2017 su mandato dell’allora Ministro degli Esteri Angelino Alfano.

Evidentemente persegue altri obiettivi rispetto a verità e giustizia, portando avanti con successo iniziative rivolte all’agevolazione di scambi economici, affari, politica e turismo” ha aggiunto Paola Deffendi. Che si è poi soffermata sulle motivazioni che Alfano addusse sul rinvio di Cantini al Cario, definendole “fuffa velenosa”.

Incontrammo Gentiloni il 20 marzo 2017 e ci disse che ci avrebbe dovuto convincere della necessità di rinviare l’ambasciatore in Egitto. Noi gli rispondemmo che non ci avrebbe convinto” ha dichiarato la madre di Regeni. “Poi ci chiamò il ministro Alfano e ci disse che avevano già deciso di rinviare l’ambasciatore al Cairo. È stata una fuffa velenosa quella di mandare l’ambasciatore Cantini”. La donna ha sottolineato la necessità di una verifica dei rapporti di Alfano, tornato al mestiere di avvocato, con il suo studio legale in Egitto.

I dettagli sul caso Regeni appresi dai giornali

Le dichiarazioni successive si sono incentrate sui dettagli che hanno portato alla morte di Giulio Regeni, ritrovato senza vita il 3 febbraio 2016 nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani. I genitori del ragazzo hanno affermato di aver saputo delle torture subite dal figlio dai giornali: “Non ci era stato riferito probabilmente, pensiamo, anche per una forma di affetto e tutela. Siamo però nella società della tecnologia e tutto si viene a sapere“.

Il legale della famiglia Regeni, l’avvocatessa Alessandra Ballerini, ha confermato la versione dei coniugi: “L’ambasciatore Cantini al Cairo non risponde alle nostre mail e neanche a quelle della famiglia. E lui come primo punto del suo mandato aveva quello di cercare verità e giustizia per Giulio”.

Ballerini ha poi rivelato un particolare preoccupante, ovvero una forma di spionaggio in atto per controllare le persone interessate al caso. “Accade costantemente. I nostri consulenti in Egitto vengono intimiditi. Se andiamo ai convegni c’è sempre qualche egiziano che fotografa. Il giorno della presentazione del docufilm su Giulio c’erano dei funzionari che ridevano impunemente. Ho già presentato un esposto alla procura di Genova”. Ha chiesto anche che l’Egitto venga dichiarato Paese non sicuro.

“Troppe zone grigie”, secondo Claudio Regeni

Ci sono zone grigie sia dal governo egiziano, che è recalcitrante e non collabora come dovrebbe, ed anche da parte italiana, che non ha ancora ritirato il nostro ambasciatore al Cairo, cosa che chiediamo da tempo” ha detto Claudio Regeni.

I genitori di Giulio sono poi tornati sugli avvenimenti successivi alla comunicazione della scomparsa del ragazzo: “C’erano già dei segnali. Fin dall’inizio avevamo chiesto all’ambasciatore sia le immagini delle telecamere sia la geolocalizzazione del telefono, ma secondo noi non è stato fatto nulla di tutto questo”.

A questo va aggiunto anche il comportamento della docente che seguiva Giulio Regeni, della quale ha parlato Deffendi in un’intervista al Corriere della Sera: “La professoressa Maha Abdelrahman dovrebbe avere il coraggio di rispondere con onestà e chiarezza alle domande che la Procura le ha posto con la rogatoria internazionale senza ‘se’ e ‘non ricordo’”.

Giulio non è stato l’unico

Un’ultima analisi è venuta dall’avvocatessa Ballerini, che ha parlato di altri casi di italiani prelevati dagli apparati egiziani, qualcuno maltrattato ma comunque tutti tornati vivi. Persone talmente terrorizzate da non essere in grado di testimoniare. “Uno ci ha contattato, pentito per non aver parlato perché ci ha detto che magari si sarebbe saputo che l’Egitto non è un Paese sicuro“: le accuse sono molto dure anche se ben camuffate, e la speranza è che con tempo e perseveranza possano finalmente portare alla verità.