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Il dolore di Renzo Piano: “Quello che vedo è assurdo, mancano le parole per dirlo”

Pubblicato: 03/04/2020 13:00

Renzo Piano ha 82 anni e da 5 decenni il suo lavoro e la sua missioni di vita è una soltanto: costruire luoghi ed edifici per la comunità. Dal Centre Pompidou all’aeroporto del Kansai in Giappone, fino al futuro nuovo ponte di Genova, la sua missione è stata quella di creare qualcosa che univa le genti e creava le condizioni per nuovi rapporti sociali: oggi, l’architetto si trova a vivere un momento in cui la società, per sopravvivere al coronavirus, deve lavorare sul distacco. In un’intervista a Il Corriere della Sera, l’architetto ha raccontato la sofferenza di questo periodo, pur vissuto da lui in una condizione di relativo privilegio.

Tutti gli edifici vuoti, i cantieri bloccati

Difficile, per Renzo Piano, concepire l’idea che i suoi “figli” architettonici in questo momento siano vuoti: Soffro al pensiero che tutto quello che ho costruito è vuoto. In tutta la mia vita ho costruito edifici pubblici, dove la gente possa incontrarsi e condividere valori. Valori alti, quando si parla di biblioteche, auditorium, musei. Sono quasi tutti vuoti. Il Whitney è stato il primo museo di New York a chiudere”. Il lavoro è bloccato, i cantieri chiusi. Uno però fa eccezione: è il nuovo ponte di Genova, che era previsto in consegna a giugno, e che con ogni probabilità potrebbe slittare.

Per Renzo Piano la città è un culto: “Mi sento come se avessi tante creature sparse nel mondo che soffrono. Il Beaubourg lo tengo sott’occhio, è a un chilometro da casa; ed è vuoto. Io amo la città come istituzione, come idea, come luogo di civiltà; amo le piazze, le strade, i ponti. Sono tutti vuoti. Quello che vedo è assurdo, mi mancano le parole per dirlo”.

Il lavoro non si ferma mai

Renzo Piano continua a lavorare, costretto tra le mura di casa: “Ieri ho fatto teleconferenze con il Giappone il mattino e con Los Angeles il pomeriggio”, dice. Ma non è la stessa cosa: “Inutile raccontare bugie. Lo smart working è un esperimento interessante? Col piffero. Se non vai in giro, se non trai ispirazione dalla realtà, come fai a lavorare, a creare? Il contatto con la realtà mi manca profondamente. Questa malattia è diabolica perché ti impedisce il contatto con le cose, con la gente”.

La quarantena a Parigi

Eppure, anche l’archiatra sa che le misure vanno rispettate, per la salute di tutti e con l’aiuto di chi si ha accanto: Mia moglie Milly si è inventata la figura del buttadentro: non mi fa uscire. Ma non ci manca niente. E penso di continuo, e non per pietismo, a chi non ha questo privilegio”. Deroga per i contatti in famiglia, gli unici di cui non riesce a fare a meno: “Io mia moglie continuo a baciarla e abbracciarla. Si può fare diversamente? Siamo chiusi insieme da tre settimane, abbiamo lo stesso destino. Non posso che pensare positivo: dopo il momento dei medici tornerà quello degli architetti. E io continuerò a fare il mio mestiere fino all’ultimo momento della mia vita”.