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Yara Gambirasio, dalla scomparsa ai processi: storia della 13enne lasciata morire in agonia

Pubblicato: 25/11/2020 16:05

Il 26 novembre 2010 Yara Gambirasio esce di casa nel tardo pomeriggio per andare ad un allenamento di ginnastica artistica. Yara ha 13 anni, una vita normale e una passione per la ginnastica che le riempie le giornate.

Verso sera, i suoi genitori cominciano ad allarmarsi: Yara non torna a casa e non risponde al telefono. Comincia un calvario fatto di denunce di scomparsa, ricerche della polizia per tutto il territorio, gore che passano uno dopo l’altro come perle di un rosario infinito fino al 26 febbraio 2011, giorno in cui i resti di Yara Gambirasio, ormai a stento riconoscibili, vengono rinvenuti in un campo a Chignolo d’Isola. Da quel momento parte la caccia al killer più complessa che la storia recente della cronaca italiana abbia visto, terminata in un arresto, un processo e 3 sentenze di condanna per l’uomo che, ormai, viene considerato giuridicamente l’unico e indiscutibile assassino di Yara: Massimo Bossetti.

Yara Gambirasio: scomparsa e ricerche

La scomparsa di Yara Gambirasio è stato uno dei casi più seguiti dal punto di vista mediatico degli ultimi anni. La sua scomparsa, in un primo momento, è sembrata inspiegabile: la palestra in cui si allenava Yara distava solo 700 metri da casa sua, eppure la ragazza sembrava essersi volatilizzata nel nulla. Le telecamere della palestra erano purtroppo rotte e non hanno potuto registrare alcuna presenza della ragazza. La famiglia di Yara non ha nemici, per cui non si può supporre che la sua scomparsa sia dovuta ad atti di ritorsione. Yara era una 13enne senza particolari problemi, e le indagini sulla sua vita svelano esclusivamente la sua normalità: una quotidianità fatta di piccole ansie adolescenziali, le amiche, gli allenamenti, una famiglia amata.

Il ritrovamento: massacrata a sprangate e accoltellata

Il ritrovamento del suo corpo è un taglio insanguinato in questa normalità: Yara viene esaminata dai medici legali e risulta essere morta il giorno stesso della sua scomparsa. Con ogni probabilità ha tentato una fuga dal suo aggressore, è stata bloccata, presa a sprangate e forse accoltellata. Sul suo corpo sono presenti almeno 6 ferite da taglio. Il suo corpo era stato dilaniato dal tempo e dalle intemperie: con ogni probabilità la 13enne era stata colpita più volte con ferocia da qualcuno che si era accanito su di lei fino a lasciarla a terra nel campo, inerme ma ancora viva. Ad ucciderla, nelle ore e nei giorni successivi, sarebbero state le ferite non curate, il gelo e la disidratazione. Una morte lenta, dolorosa, che scandalizzò l’intero Paese portandolo a chiedere disperatamente di trovare il carnefice della povera bambina.

Le indagini: Ignoto 1

Per giungere a un arresto ci sono voluti 4 anni, enormi investimenti ed una ricerca di enorme complessità. Apparentemente, non si avevano altri indizi sull’assassino di Yara ad eccezione di una traccia di sangue sugli slip della vittima. Su quella traccia di sangue si concentrarono gli sforzi degli inquirenti e della scientifica: a complicare l’impresa c’era il fatto che, della traccia di sangue, si era riusciti ad isolare solo il Dna nucleare ovvero quello che permetteva di risalire alla madre di Ignoto 1 (così era stato definito il non conosciuto proprietario del Dna).

Uno screening su larghissima scala in tutta la zona -durato anni – portarono a correlare il Dna con quello di tale Giuseppe Guerinoni, autista morto nel 1999 (e quindi certamente non colpevole della morte di Yara) che, secondo alcuni testimoni e informatori, aveva avuto una relazione extraconiugale con una tale Ester Arzuffi, che aveva avuto due figli gemelli: Laura e Massimo Bossetti.

Tramite lo stratagemma di un palloncino dell’alcol-test, venne prelevato il Dna di Massimo Bossetti, che risultò coincidere nel Dna nucleare.

L’arresto di Massimo Bossetti: telecamere ed esultazioni

L’arresto di Massimo Bossetti è passato alla storia della cronaca nera italiana e ne è una pagina infelice dal punto di vista mediatico. Prelevato al cantiere in cui lavorava, Bossetti è stato ammanettato e caricato su una volante mentre una miriade di telecamere filmava la scena, davanti a un pubblico di sconosciuti altrettanto vasto. Poco dopo, l’allora Ministro Angelino Alfano dichiarava pubblicamente che era stato “catturato l’assassino di Yara Gambirasio”, scatenando diverse polemiche.

Un anno dopo si chiudono le indagini e comincia un lungo processo che vede l’Italia spaccata in due. Da una parte c’è la famiglia Gambirasio che crede nella tesi dell’accusa, c’è l’accusa stessa e c’è la parte di opinione pubblica che crede nella colpevolezza di Bossetti. In un primissimo tempo, anche la moglie di Bossetti, Marita Comi, mette in dubbio la versione del marito, e si confronta in maniera critica con il consorte: nel tempo, diverrà la prima e più solida sostenitrice della sua innocenza.

Gli elementi contro Massimo Bossetti

Dall’altra parte c’è la difesa legale di Bossetti, che smonta uno per uno tutti gli elementi che l’accusa porta a processo, accanto alla “prova regina” del Dna. Secondo l’accusa, infatti, altri indizi indicherebbero Bossetti come colpevole: un camion uguale al suo sarebbe passato davanti al centro sportivo di Yara la sera del delitto; sui suoi indumenti sarebbero state ritrovate fibre “compatibili” a quelle dei sedili del camion dell’operaio; il cellulare di Bossetti sarebbe risultato spento la sera dell’omicidio, per riaccendersi solo la mattina dopo.

Tutti elementi non affidabili secondo la difesa: il camion non risulterebbe essere sicuramente lo stesso, così come le fibre dei sedili potrebbero appartenere a molti altri veicoli, ed il telefono di Bossetti si sarebbe agganciato (la sera dell’omicidio) a celle diametralmente opposte alla zona di ritrovamento del corpo.

I reperti: riesame concesso e poi negato

Il processo non riterrà comunque valide le tesi della difesa: Bossetti è stato condannato all’ergastolo nei 3 gradi di giudizio. L’operaio di Mapello, fino ad ora, ha sempre proclamato la sua innocenza e, dopo la condanna definitiva, ha scritto svariate lettere a testate giornalistiche per chiedere sostegno. La difesa non ha smesso di lavorare e, alla fine del 2019, era stato concesso un riesame dei reperti di Yara e dei campioni di Dna che avrebbero permesso quel controllo del materiale genetico da parte della difesa che prima non è mai stato concesso. Nel corso del 2020 i reperti sono stati messi sotto sequestro ed il riesame è stato nuovamente negato.

Yara: la posizione della famiglia Gambirasio

La famiglia Gambirasio, intanto, non ha mai dimenticato Yara, ma si è allontanata dalla dimensione processuale. A nome della giovane è stata fondata un’associazione, La passione di Yara, che si pone lo scopo di sostenere e finanziare giovani ragazzi che hanno una passione sportiva, artistica o culturale. Proprio come l’aveva Yara.

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2020 09:12