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Delitto dell’Olgiata: dopo 30 anni la sentenza che fa infuriare la famiglia

Pubblicato: 14/12/2020 10:12

La famiglia della contessa Alberica Filo della Torre è ancora una volta obbligata a tornare in tribunale: negato in appello il risarcimento di 120 mila euro chiesto ai 3 periti che si occuparono del caso. “Vent’anni per trovare il più facile degli assassini. Ora in Cassazione“.

L’omicidio della Contessa

Alberica Filo della Torre fu uccisa il 10 luglio del 1991, nella sua villa nella zona dell’Olgiata, il giorno in cui avrebbe dovuto festeggiare l’anniversario di matrimonio. Solo 20 anni dopo però, nel marzo del 2011 fu trovato il colpevole -un domestico della casa da poco licenziato- e alla base del delitto, confessato durante un interrogatorio, ci sarebbe stata la volontà di vendetta a causa del licenziamento.

In 20 anni però le ipotesi sono state tante e hanno fatto il giro del mondo, passando per Inghilterra e Hong Kong, e collegandosi a fondi neri e servizi segreti, mentre la verità era molto più vicina. È stato solo grazie alle insistenze del marito Pietro Mattei che le indagini sono state riaperte e gli accertamenti hanno portato a un risultato inequivocabile.

Chi ha ucciso la contessa dell’Olgiata

Manuel Winston, domestico licenziato poco prima, è stato condannato a 16 anni di reclusione per l’omicidio della contessa, a cui ha anche rubato dei gioielli che ha in seguito venduto. Tra le prove che lo hanno incastrato ci sono state anche delle intercettazioni con il ricettatore in merito ai gioielli.

La prova schiacciante, tuttavia, è stata quella del DNA, eseguita più volte e che solo dopo 2 decenni di inchieste, ricorsi e cambio periti ha finalmente prodotto dei risultati. A parlare ai media è stato Manfredi, figlio della vittima, che avrebbe puntato il dito contro la prima grossolana analisi effettuata sul Dna e poi su altre presunte mancanze da parte dei periti: “Vanno considerate la mancata sbobinatura e traduzione della telefonata con cui, poche settimane dopo l’omicidio, il domestico piazzò a un ricettatore i gioielli rubati a mia madre”, ribadisce Manfredi, come riportano varie testate: “Errori clamorosi, che a noi sono costati vent’anni di attesa e di sofferenza, quando l’assassino era lì, a portata di mano”.

La decisione in appello

I 3 periti citati in giudizio -Paolo Arbarello, Vincenzo Pascali e Carla Vecchiotti- sono stati assolti:  verdetto ribaltato dalla V sezione civile della Corte d’appello.

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Il marito della Contessa, Pietro Mattei, è deceduto a gennaio 2020: ora, in seguito alla sentenza in appello, il figlio Manfredi prosegue la lotta del padre all’insegna della giustizia ed esprime tutto il suo disappunto. “Presenteremo ricorso in Cassazione sulla base di un concetto semplice: perché nel sistema giudiziario italiano chi sbaglia non paga mai?”, dichiara infine Manfredi Mattei.

Perché i periti sono stati assolti

A condizionare l’esito giudiziario sarebbe stato il fatto che sul piano giuridico i consulenti della Procura “operano quali ausiliari in funzione del superiore interesse della giustizia”. Il risarcimento quindi, “sulla base del requisito della colpa gravenon può essere chiesto a privati cittadini, “a prescindere da un’eventuale responsabilità”.

Si evince quindi che un eventuale indennizzo monetario si può richiedere solo agli organi che in quanto tali si sono occupati delle indagini ma non al singolo cittadino privatamente. A queste parole Manfredi replica così: “Ma se un medico lascia sotto i ferri un paziente, non è perseguibile? Ecco, questa sentenza per me ha il sapore di una beffa“.