Vai al contenuto

Gabriele Parpiglia, sul caso Genovese: “Un pugno nello stomaco”

Pubblicato: 30/12/2020 18:13

Silenzio, eccessi, pagine di testimonianza che a tratti si fa fatica a leggere per la loro crudezza. A raccontare il dietro le quinte del mondo di Alberto Genovese c’è Gabriele Parpiglia, uno dei primi giornalisti attivi sul caso e che, dal materiale raccolto, ha fatto nascere un libro che entra nei dettagli delle violenze, delle perversioni e della vita di Alberto Genovese, un sottobosco ovattato dal silenzio di cui ora tutti parlano ma che per anni è sopravvissuto nell’ombra.

Gabriele Parpiglia: il libro sul “caso Genovese”

Quando hai sentito l’esigenza di trasformare il materiale che hai raccolto sul caso in un libro?

Mi sono reso conto di essere stato uno dei primi a lanciare “l’allarme Genovese”. Il mondo di Genovese è quello in cui le ragazze la sera escono e non dicono ai genitori dove vanno, con chi sono o chi frequentano. Ho iniziato a scrivere articoli e intanto ricevevo messaggi da molti genitori e mi sono reso conto di quanti conoscessero poco o niente la vita dei propri figli e fossero curiosi. Ho capito che la gente voleva saperne di più, quindi ho pensato “facciamo un libro”.

Ti sei immerso nelle viscere di questo caso: qual è il tuo giudizio sulla vicenda?

Il mio parere è che Alberto Genovese lo possono anche diagnosticare bipolare ma non lo è. Genovese era ed è così, non è mai cambiato negli anni. Sicuramente avrà sviluppato una sindrome narcisistica autodistruttiva nel corso del tempo ma si tratta di qualcosa che già aveva prima, ci metteva già cattiveria nelle riunioni di lavoro. È rimasto uguale solo che anziché avere la cravatta ha i boxer e la camicia a fiori aperta. 

I soldi non l’hanno trasformato, gli hanno solo dato le chiavi per entrare nel mondo che sognava, quello in cui voleva vivere da sempre. Quando si incazzava all’università lanciava dalla finestra il televisore, oggi quando è drogato violenta una ragazza. Il trait d’union è l’aggressività. 

Le feste di Genovese, Parpiglia: “Chi andava là, sapeva

Qual era secondo te il motivo che portava le persone a frequentare le feste di Genovese?

Chi andava da Genovese sapeva cosa trovava, su questo non ci piove. Ne ho avuto la conferma con le interviste fatte: molte volte purtroppo dopo le testimonianze in molti mi hanno chiesto di non renderle pubbliche. C’era paura, però chi andava là sapeva.

C’è qualcosa che hai scoperto in questi mesi che avresti voluto dire ma che ti è stato impedito di fare?

Mi è dispiaciuto molto aver parlato con Sarah al telefono, la “partner in crime” di Genovese, ma non aver potuto intervistarla. Lei secondo me è l’anello di tutta questa vicenda, e se crolla lei… Ma non crollerà perché ovviamente ha avvocati che sanno gestirla.

Genovese il carcere lo farà

Come pensi che si concluderà questa vicenda a livello giudiziario?

Non ci sono soldi che tengono, ho i miei buoni motivi per dire che Genovese il carcere lo farà e anche per lungo tempo. Il principale testimone del caso Genovese è Genovese stesso che si è registrato, è una cosa da cui non può tornare indietro e poi c’è un danno permanente, una violenza mostruosa.  Mi incuriosisce sapere se tra i capi di imputazione ci sarà anche l’associazione a delinquere. 

A chi consigli di leggere il tuo libro?

Lo consiglio soprattutto ai genitori: sono loro che mi stanno scrivendo “grazie”, perché hanno aperto gli occhi sulle loro figlie. Le ragazze alle feste di Genovese erano ragazze sfacciate, convinte di poter dominare il mondo e mentre erano convinte di farlo si sono fatte dominare da un predatore sessuale. Le ragazze di 18 anni di oggi sono convinte di avere il mondo in mano quando invece se sbagli strada è il mondo che mangia te