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Il tesoro delle parole

Pubblicato: 15/01/2021 08:57

Pensate a una automobile. Anzi no, pensate a una automobile rossa. Anzi, no. Pensate a una automobile rossa, di un rosso brillante, appena lavata e lucidata. Anzi, no. Pensate a una automobile rossa, di un rosso brillante, appena lavata e lucidata. Un’auto sportiva, di quelle che quando acceleri fanno un rumore incredibile, che ti fa battere il cuore. Di quelle che, quando apri la portiera, subito di assale l’inconfondibile profumo di auto nuova e che ti fa percepire con chiarezza che si tratta proprio di un’automobile che nessuno ha ancora lanciato a tutta velocità su una strada sicura, sprofondato nel morbido sedile e tenendo fra le mani il volante lucido che nessuno ancora ha usato.

Stiamo sempre parlando di un’automobile, certo, ma dalla prima descrizione (“automobile”) all’ultima (quella che avete appena letto), c’è una bella differenza, sia in termini di abbondanza di descrizione, sia in termini di sollecitazioni neurofisiologiche che le mie parole hanno prodotto sul vostro cervello, accedendo prima solo un senso, quello della vista e poi altri sensi, quello dell’udito, dell’olfatto e anche del tatto.

Questo fanno le parole: accendono i sensi, stimolano il nostro cervello, favoriscono la produzione di tutte quelle sostanze chimiche che sono alla base dei nostri comportamenti e del nostro stare, inteso come livello emotivo nel suo complesso.

Pensate a un problema, adesso

Ora, pensate a un problema. Lo so, potrebbe sembrare un esercizio strano e forse poco piacevole, ma è un esercizio utile e tra poco ne comprenderete pienamente il senso.

Vi aiuto io, con un esempio. Un problemino, dai, qualcosa di piccolo e semplice da gestire: la discussione con un collega, un capo che magari non vi tratta come secondo voi meritate, un figlio che contesta una vostra scelta, un cliente che obietta sul prezzo del vostro prodotto o qualcosa di simile.

Se voi avete poche parole nel vostro vocabolario e un frasario limitato, sarete inevitabilmente costretti, da un lato, a subire il vocabolario altrui e, d’altro lato, sarete costretti a giocare la vostra partita sul terreno di gioco scelto da chi sta parlando con voi. In che modo? Vediamolo subito, con un paio di esempi. 

“Papà, ho paura di prendere un brutto voto, domani” e “Secondo me il suo prodotto, caro Borzacchiello, è un po’ caro”. Bene, ora avete pensato a un problema. 

Cambiate terreno di gioco, per iniziare

La prima cosa da fare è ricordarci che qualsiasi problema è, anzitutto e prima di qualsiasi altra questione, un problema linguistico, perché il “problema” consiste, sempre e comunque, in una narrazione. O nella narrazione che altri fanno della realtà, oppure nella narrazione che ne facciamo noi.

Persino i problemi matematici sono problemi linguistici: se nei compiti che ci assegnavano a scuola avessero messo più indicazioni o suggerimenti, noi li avremmo risolti meglio. Lì, il problema linguistico è che, magari, mancavano frasi che avrebbero potuto illuminare (tanto è vero che se a un bambino il problema lo spieghi bene e lo argomenti, il bambino poi risolve il problema).

L’equazione tra pensieri e parole

In quanto problemi linguistici, si risolvono con le parole: parole da aggiungere, parole da cambiare, parole da tacere (che sono tanto importanti, se non più importanti, di quelle che si dicono).

Se il vostro vocabolario è ristretto, come ormai è stato ampiamente dimostrato, anche le vostre capacità cognitive lo sono in egual misura. Poche parole in testa = pochi pensieri in testa, insomma.

Che poi, aperta parentesi, è il motivo per cui spesso me la prendo con alcuni dei nostri politici: se non sanno parlare correttamente in italiano, se sbagliano i congiuntivi, se hanno un frasario ridotto all’osso, come possono risolvere i problemi che stiamo vivendo? Chiusa parentesi.

E quindi, se la mia gestione linguistica del problema “ho paura di prendere un brutto voto” è qualcosa del tipo “ma no vedrai che prendi un bel voto” o “tanto il voto non è importante”, pare abbastanza chiaro che il problema resterà tale, perché con le nostre parole non abbiamo portato reale valore aggiunto e, anzi, lo abbiamo tolto (“il voto non è importante” peggiora la situazione, poiché tradisce la realtà di chi ci sta parlando).

Se la risposta, viceversa e a puro titolo di esempio, diventa qualcosa come “mi piace che tu ci tenga a veder ripagato il tuo impegno”, allora le cose cambiano, perché abbiamo inserito nel “problema” idee nuove e soprattutto abbiamo cambiato il campo da gioco.

Un voto è un voto, non ci si scappa. “Veder ripagato l’impegno” è un insieme di possibilità diverse. Chimiche, per prima cosa, perché anche solo l’idea di “vedersi ripagato l’impegno” attiva il circuito dopaminergico che ci fa stare tanto bene, mentre “prendere un brutto voto” attiva ben altre reazioni, tutte a base di stress. Cognitive, poi: in quale altro modo l’impegno può essere ripagato? In quali altri momenti, in quale diverso lasso di tempo?

Evocate scenari diversi

La stessa cosa vale per l’altro problema: “il suo prodotto è caro” può prevedere come risposta un tristissimo “caro rispetto a cosa?” che uccide sul nascere qualsiasi negoziazione oppure un ancor più triste “no, non è caro, perché lei deve considerare il valore di questo oggetto e non il prezzo” (frase sentita con le mie orecchie durante un corso di cui ero docente, prima di perdere i sensi per lo shock).

Rispondere con un più costruttivo “è giusto voler essere certi di fare un buon investimento” apre il campo a scenari diversi, poiché ora l’idea di “caro” è scomparsa e hanno fatto il loro ingresso sul palcoscenico idee nuove, come “investimento”, che a loro volta ci possono portare a mille altri ragionamenti e approfondimenti.

Un po’ come abbiamo fatto per l’automobile. “E’ giusto voler fare un buon investimento, anche perché quando si acquista qualcosa poi si deve essere contenti di utilizzarlo, perché quando utilizzi qualcosa che hai comprato, ne sei soddisfatto, la tua vita si arricchisce e impreziosisce, ti senti persino una persona migliore” e così via, in questa voluta esagerazione che ci offre un assaggio di quel che possiamo fare con una ricca narrazione.

Parlare di investimenti, di ricchezza e di preziosismi a chi ci ha evocato l’idea di “caro”, insomma, è un modo bellissimo di dimostrare le idee di Wittengstein. Il quale diceva, da un lato, “i limiti del linguaggio sono i limiti del mio mondo” e, d’altro lato, “se di una cosa si può parlare, allora se ne può parlare bene”. Oppure, per autocitarmi: più parole hai, più libero sei.