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Sebastiano Vitale è Revman, il rapper-poliziotto: la storia e la nascita di una musica al servizio della giustizia

Pubblicato: 08/03/2021 11:33

Due mondi intrecciati e abbracciati da una sola anima, quella di Sebastiano Vitale che però, nella scena musicale italiana ha anche un altro nome, Revman. Rapper nella vita, ma anche agente di polizia, Sebastiano Vitale si racconta a The Social Post partendo dagli albori, dal profondo senso di giustizia che prima lo ha indirizzato verso la Polizia di Stato e che poi ha segnato indelebilmente il suo percorso artistico. Musica e giustizia sono proprio il La del del suo estro artistico che trasforma temi sociali in testi e accordi.

Revman e Sebastiano si raccontano ora proprio alla luce del suo ultimo singolo, Il Gelo: un brano frutto dell’isolamento forzato dovuto al lockdown per la pandemia di Coronavirus in cui la fanno da padroni il senso di solitudine, distanza, freddo che hanno agitato e scompigliato l’animo di centinaia di migliaia di persone forzatamente chiuse nelle mura della propria stanza. Uno spaccato di realtà da quale però emerge con forza un messaggio di speranza e fiducia defilata nello spiraglio di luce che si scorge alla fine del tunnel.

Sebastiano Vitale è Revman: le due anime del rapper

Partiamo dalle basi, perché Revman?

Questo nome non ha un significato in particolare, è nato così, dal nulla, mi piaceva il suo suono. Nel tempo però ho cercato di dargli un senso e ho capito che le lettere da cui è formato potevano essere un acronimo, le iniziali di parole che per me hanno un forte significato:

Rispetto;

Energia;

Verità;

Musica;

Amore;

Natura. 

Revman ma anche e soprattutto Sebastiano Vitale: chi sono queste due anime?

Sebastiano è un ragazzo cresciuto in periferia, uno di quei luoghi dove il tempo sembra essersi fermato e dove le nuove generazioni, per ingannarlo, devono inventarsi qualcosa da fare. Nel mio caso, ho investito tempo e impegno nella musica, il quella che per me è stata un’opera d’ingegno, il risultato di un carattere creativo che mi ha consentito, con il tempo, di diventare un rapper conosciuto con il nome d’arte di Revman. I miei sono messaggi di denuncia e di riscatto rivolti soprattutto ai giovani.

Ho sempre sognato di vivere in una grande città e, oggi, per me, vivere a Milano rappresenta un grande traguardo.

Sento, infatti, di essermi realizzato due volte, la prima vincendo un concorso pubblico nel quale credevo tanto e arrivando in questa grande metropoli e la seconda quando mi sono reso conto di poter continuare a scrivere e cantare la mia musica senza le influenze di un’importante etichetta discografica,  ma bensì preservando la mia identità e i valori che mi contraddistinguono.

Due mondi in una sola persona e il senso di giustizia come spirito guida

Tu rappresenti due mondi, quale strada è stata battuta prima e come si coniugano?

Ho iniziato a fare rap per gioco quando avevo 16 anni, ma con il passare del tempo, crescendo e lavorando sodo, sono arrivato a conoscere e a collaborare anche con nomi illustri della scena rap italiana.

Il mio vero sogno, però, è sempre stato quello di scrivere e interpretare un rap improntato sul sociale e al servizio della comunità.

I due mondi ai quali appartengo mi rappresentano e fanno parte del mio universo, sono un vero e proprio stile di vita: per questo apprezzo molto quando incontro qualcuno che va “oltre” l’apparenza, rispetta chi sono, apprezza le mie canzoni e si complimenta per questa mia “duplice veste”.

Sebastiano Vitale è Revman, il rapper-poliziotto: la storia e la nascita di una musica al servizio della giustizia
Revman, nome d’arte di Sebastiano Vitale

La fede nella giustizia e la musica come strumento di denuncia

Quanto la tua vita quotidiana influenza il tuo estro artistico?

Molto. Spesso scrivo quello che quotidianamente vivo, sento e avverto. Nei miei brani si percepisce la mia sensibilità, la mia attenzione e propensione verso il mondo esterno.

Quale pensi che sia la potenzialità del mezzo musicale relazionato al tuo personale percorso di vita? Si può “denunciare” con la musica?

Il mio personale percorso di vita mi arricchisce quotidianamente e l’esperienza acquisita mi permette di trasporre in musica messaggi importanti e trasversali. Per me è queste sono la mia potenzialità e la mia forza. Credo molto nella giustizia e nelle istituzioni: le ingiustizie devono essere denunciate con ogni mezzo legale e perché no, anche attraverso la musica.

C’è un momento in cui prevale il tuo lato artistico o il tuo lato lavorativo o è una continua convivenza?

Entrambi gli status convivono in me in maniera equilibrata: quando scrivo un nuovo pezzo ho sempre in mente da dove vengo, chi sono e cosa rappresento. Quando mi trovo a comunicare con i ragazzi, il mio linguaggio artistico molto vicino alla loro generazione, mi permette di rompere il ghiaccio e creare sintonia. Ciò che faccio li avvicina alle istituzioni e alla legalità.

La paura del diverso: le critiche verso chi abbatte gli stereotipi

Hai mai ricevuto critiche per la tua attività di rapper che promuove la legalità?

Spesso. Accade quando abbatti uno stereotipo e vai controcorrente. Qualcuno dice che non sono un rapper e qualcun altro critica il lavoro che faccio nella mia vita privata. Entrambi i casi fanno notare quanto per la nostra società sia difficile accettare le diversità. Il diverso solitamente spaventa, poiché pone di fronte a qualcosa di non catalogabile negli schemi di ciò che si conosce ed è prevedibile e/o consueto, contribuendo a porre numerosi interrogativi e sollevando incertezze.

I modi di vivere la vita sono diversi e infiniti. La diversità deve essere uno stimolo per approcciarsi all’esistenza con una giusta disponibilità verso il prossimo e il diverso da noi, associando questo concetto alle numerose potenzialità che, invece di spaventare, sono in grado di arricchire.

IL GELO, il brano figlio della solitudine da lockdown

Parlami de IL GELO e delle esigenze comunicative che ti hanno portato a parlare di pandemia, freddo e solitudine

Lo scorso anno è stato difficile per tutti, vedere tanta tristezza all’improvviso ha fatto si che vivessimo in una zona “fredda e gelata”. Secondo me una delle cose più scioccanti, è stata vedere i camion che trasportavano le bare delle persone defunte per covid di Bergamo. È stato straziante, doloroso e ci ha fatto sentire piccoli e soli. La solitudine è stata pesante per tutti, soprattutto per chi, come me, era lontano da casa, preoccupato per i suoi affetti. Nella mia stanza, chiuso e da solo, ho raccolto tutte le mie emozioni e sentimenti, utilizzandoli per scrivere il brano IL GELO, e lanciare così un messaggio di vicinanza a chi è lontano, a chi è in difficoltà.

Guarda il video:

Avevi proposto al Festival di Sanremo il tuo brano San Michele Il Poliziotto: di che cosa parla e perché credi ti abbiano escluso?

Il brano che ho proposto a Sanremo si intitola San Michele il Poliziotto e racconta la notte di un agente di polizia in servizio, le sue sensazioni e cosa prova. Con la musica sono riuscito a far guardare le persone attraverso lo sguardo di quel poliziotto, a raccontare loro con il testo ciò che lui vede e le difficoltà che incontra. Penso di non essere stato selezionato perché il brano è molto forte, inusuale, e non tutti sono sensibili e pronti a rischiare con tematiche come quelle che riguardano le Forze dell’Ordine.

Quali sono ora i tuoi progetti futuri?

Vorrei creare qualcosa di unico, ma soprattutto di utile per il sociale.

Ultimo Aggiornamento: 08/03/2021 12:26