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La Bielorussia di Lukashenko che guarda alla Russia di Putin. Tra violenza e minacce il colpo di scena

Pubblicato: 09/08/2021 17:08

Da 27 anni, Alexandr Lukashenko governa in Bielorussia senza una vera e propria oppisizione. Di fronte agli occhi di tutto il mondo, impunito, ha messo in piedi un regime fatto di violenza, minacce, morti misteriose. Di esuli che vengono trovati impiccati ad un albero, in Paesi in cui hanno chiesto aiuto e sicurezza; un regime dove nemmeno le atlete sono libere di esprimere risentimento verso i propri allenatori sui social, senza rischiare di essere prelevate con forza e portati “a casa”.

L’ultimo colpo di scena del leader però, è il recente “annuncio” che “potrebbe” dimettersi presto. Nel suo discorso Lukashenko si è rifatto all’esempio di Putin per il dovere verso il suo popolo.

Lukashenko: l’ultimo dittatore d’Europa

Alexandr Lukashenko detiene il potere il Bielorussia da più di 20 anni: eletto Presidente il 20 luglio 1994, e da allora in carica, nella sua carreira è stato anche capo di una fattoria statale, e ha servito anche nei Soviet Border Troups e nell’esercito sovietico. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Lukashenko ha continuato a giocare un forte ruolo politico, rimanendo fortemente legato al simbolismo dell’Unione ormai decaduta. Ne è un esempio, ma siamo già negli anni iniziali della Presienza, il referendum definito “ambiguo” sulla scelta dei colori e dei simboli della nuova bandiera della Bielorussia.

Con lo stesso referendum, Lukashenko è riuscito a liberarsi del concililio supremo sovietico bielorusso, accentrando il potere su di sè. Un anno dopo ha iniziato il suo percorso di avvicinamento alla Russia, permettendo ai cittadini parlanti lingua russa di avere lo stesso stato di bielorussi; il legame è stato rafforzato anche dal punto di vista economico prima e poi con la creazione dell’unione tra lo stato russo e bielorusso. In questo modo i cittadini bielorussi e/o russi possono circolare liberamente tra i due Stati, per lavoro, studio…

Fin dal suo insediamento, Alexandr Lukashenko non ha mai nascosto il suo forte autoritarismo, che non si è fermato (e non si ferma) nemmeno di fronte alle sanzioni europee.

Le elezioni in Bielorussia non sono libere

L’esempio più recente è quello che riguarda le elezioni dell’agosto 2020, quelle che sono state ribattezzate come il “golpe di Lukashenko”. Il 9 agosto 2020, lo staff elettorale di Lukashenko annunciava la vittoria del leader uscente sulla candidata Svitatlana Tsikhanouskaya con l’80% dei voti. La candidata ha immediatamente denunciato irregolarità, affermando di essere stata lei a vincere con il 60% dei voti.

La rielezione di Lukashenko ha scatenato una serie di proteste contro il regime, e una fuga tra gli oppositori che trovano rifugio in Paesi come Ucrain, Lituania e Poloni. Eppure, nonostante molti riescano a lasciare la Bielorussia, non è detto che siano al sicuro.

L’incubo degli oppositori al regime: tra morti misteriose e aerei dirottati

Nel corso dell’ultimo anno sono tre gli episodi che hanno visto il regime di Lukashenko protagonista. Nel mese di maggio scorso, un volo Ryanair FR4978, partito da Atene e diretto a Vilnius, in Lituania, è stato dirottato a Minsk. L’atto è stato spiegato come una manovra anti-terroristica dato che era stato lanciato un allarme di bomba a bordo. In realtà a bordo del velivolo non c’era una bomba ma Roman Protasevich, fondatore di un media di opposizione al governo bielorusso, insieme alla sua compagna. Protasevich è stato arrestato e trasferito in carcere.

Tra domenica 1 e lunedì 2 agosto è scoppiato in caso dell’atleta Krystsina Tsimanouskaya, la velocista prelevata e portata in aeroporto da funzionari governativi dopo che lei aveva criticato i suoi allenatori. La velocista 24enne ha richiesto un visto umanitario alla Polonia e ora si troverebbe al sicuro; la sua ultima posizione conosciuta è a Vienna, dove è sbarcata pochi giorni fa. A rendere ben chiaro il pugno di ferro del regime, è la conversazione che Krystsina Tsimanouskaya ha avuto con i suoi allenatori. Nella telefonata resa nota nei giorni successivi alla denuncia, si sentono chiaramente minacce ben chiare legate ad un pericolo di morte.

Quel “Così vanno i casi di suicidio, sai? pronunciato da uno dei due membri della federazione atletica alla Tsimanouskaya fanno venire i brividi se si pensa che, solo pochi giorni dopo Vitaly Shishov è stato trovato impiccato in un parco. Shishov era un’attivista per i diritti umani bielorusso, fuggito a Kiev, insieme alla compagna ha aperto una ong chiamata Casa Bielorussia, creata per aiutare gli esuli bielorussi fuggiti dal regime.

Le sanzioni UE a quanto pare non bastano

A seguito delle azioni promosse dal governo di Lukashenko, l’Unione Europea ha più volte deciso di sanzionare la Bielorussia, applicando in più occasioni misure restrittive. Le ultime a seguito dell’azione nei confronti di Roman Pratasevich, l’attivista fatto scendere da un aereo.

Lukashenko potrebbe dimettersi?

L’ultimo colpo di scena, messo in atto dallo stesso Lukashenko, è l’annuncio delle sue dimissioni. Durante il suo intervento alla Grande Conversazione, conferenza stampa dove il capo di Stato si confronta con i giornalisti rispondendo alle loro domande.

“Non serve fare congetture su quando Lukashenko se ne andrà, sarà molto presto“, ma si è detto preoccupato in merito alla sua successione. “È la domanda più difficile. Perché difficile? Potrei rispondere come ha fatto il mio buon amico e fratello maggiore Vladimir Putin: chiunque sarà eletto dal popolo bielorusso sarà presidente. È proprio così. Le persone voteranno. Non ho deciso quale posizione prenderò in questo caso, onestamente. Ci penso, questo è naturale. Questa non è una posizione eterna. Sono una persona… A volte voglio solo vivere in pace, ma poi comincio a riflettere e penso che non avrò mai una vita tranquilla fino alla morte”.

Che sia una sceneggiata o realtà, anche in questo ultimo coup de theatre, Lukashenko si è rifatto a Vladimir Putin come modello di riferimento.

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Ultimo Aggiornamento: 12/08/2021 14:33

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