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Giorno del Ricordo dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Perché se ne dovrebbe parlare di più

Pubblicato: 10/02/2022 09:24

Il 10 febbraio ricorre, come ogni anno dal 2004 quando è stato istituito con la legge n.92 del 30 marzo, il Giorno del Ricordo dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata e istriano. Una ricorrenza che ogni anno, in concomitanza della data, riaccende dure polemiche alimentante, principalmente, da una fortissima disinformazione ben radicata grazie ad anni di silenzio o, usando una terminologia più corretta, una conventio ad silentium tra Italia ed ex Jugoslavia, tra partiti politici e tra Paesi occidentali. 

Un silenzio colmo di dolore, quello degli esuli rimasti senza nome le cui foto sono appese al magazzino 18 dell’IRCIIstituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata (Trieste), insieme alle loro sedie, alle stufe e a tutti quei pochi beni che riuscirono a portare con se. 

Il problema del ricordo delle foibe e dell’esodo oggi è in una strumentalizzazione fatta da più fronti come i negazionisti, giustificazionisti ed esagerazionisti; tutti in grado di alimentare le proprie verità su numeri mai corretti tanto sugli infoibati quanto sugli esuli, anzi su questi ultimi c’è una forte corrente che non vede ancora oggi come moltissime famiglie sono state trattate come straniere in terra patria, additati di essere fascisti quando molti di loro erano semplici contadini anche semi-analfabeti che speravano solo di provvedere alla propria famiglia. 

Molti nuclei famigliari sono scomparsi, altri sono stati separati per anni prima di potersi ricongiungere e ritrovandosi con pochi beni e mezzi. Il dramma delle foibe e degli esuli è vecchio ma attuale, lo vediamo ogni giorno nel Mediterraneo o al confine tra Polonia e Bielorussia, un dramma di chi dalla notte al giorno si ritrova senza radici e alla macchia con la sola colpa di voler preservare la propria unità famigliare. Torniamo però indietro, cercando in primis di contestualizzare il quando e il dove, per capire che cosa sono state le foibe e l’esodo e perché il Giorno del Ricordo deve essere rispettato. 

Le foibe e gli infoibati tra il 1943 e il 1945

Il termine foiba deriva dal latino foeva indica una serie di inghiottitoi naturali tipici delle aree carsiche, veri e propri abissi siti in zone montuose profondi anche oltre i 200 metri utilizzati per anni anche come discariche dove abbandonare rifiuti di ogni genere, comprese carcasse animali. Quando si parla di foibe, il primo grande scoglio è quello dei numeri (nel corso degli ultimi 20 anni soprattutto alcuni sono arrivati a parlare di 5/10mila vittime) Ad oggi è pressoché impossibile definire un numero esatto, esiste una stima approssimativa che si aggira intorno a 1000. Le prime 200 circa risalenti all’eccidio del 1943 e circa 800 quelle del 1945 concomitanti con la “corsa a Trieste”.

L’eccidio delle foibe si colloca in un contesto più ampio che non si può esplicare solo con il termine di revanchisme– revanscismo o vendetta di indole nazionalista. Per capirne le origini occorre tornare all’arrivo di Mussolini a Trieste per annunciare le leggi razziali e a quando, nel 1941, queste furono applicate principalmente a danno dei cittadini slavi. In poco tempo le radici culturali e linguistiche identitarie furono spazzate via, ci sono aneddoti terribili che riguardano maestri sputare nella bocca dei bambini che parlavano ancora in lingua slava. L’orrore della guerra e del nazi-fascismo ha paralizzato una società che fin dall’antica Roma è stata multietnica e, come lo definiremmo oggi, un perfetto esempio di melting-pot (cosa che Trieste ancora oggi è e le battaglie per il suo porto, snodo fondamentale per i traffici commerciali è combattuta anche dalla Cina). 

Che cosa è successo dunque? Come accennato, gli eccidi delle foibe si sono svolti in due fasi, la prima nel 1943 a margine dell’armistizio. È in quel momento che, complice anche il vuoto gerarchico-politici che si era creato che prende vita un forte sentimento di giustizialismo e di “vendetta” che maschera una lotta di liberazione dal fascismo in eccidio. 

Le epurazioni in nome dell’appartenenza alla Jugoslavia

Successivamente, nel 1945, gli uomini di Tito, noti come i “partigiani” jugoslavi, nella coRsa a Trieste hanno messo in atto uno sterminio politico come dimostrazione di appartenenza alla Jugoslavia. Vedevano nel fascismo una sorta di “peccato originale” da punire, epurare. Il problema è che non ci furono poi tanti nazi-fascisti a finire nelle foibe, anzi molti erano punti di riferimento per la comunità come sacerdoti. A poco a poco la struttura sociale italo-istriana è andata disgregando lasciando i futuri esuli senza punti di riferimento politici. 

In quei terribili giorni del ’45 regnava il terrore, cittadini e cittadine rimasero chiusi in casa a lungo per evitare di finire in quella lista di scomparsi che aumentava in modo esponenziale. Ogni giorno erano circa un centinaio le persone portate via dalle proprie case e la maggior parte erano cittadini. I prelievi avvenivano in modo sistematico oltre a a Trieste anche in città come Spalato e Pola. Un’epurazione prevenuta, perché in quanto italiani i cittadini erano considerati presunti collaboratori fascisti, oppure sloveni anti-comunisti. Nei numeri, ancora oggi imprecisi, sarebbero circa 3mila le persone scomparse e le cui salme non sono mai state rinvenute. 

Come si moriva nelle foibe

La crudeltà dell’eccidio delle foibe è nelle modalità di uccisione, le vittime venivano legate l’una all’altra con del filo spinato ai polsi. Dopodiché i militari sparavano senza colpire tutti, ma comunque facendoli precipitare nella cavità dove morivano dopo giorni di agonia. Secondo altre testimonianze i militari sparavano solo al primo della fila che trascinava giù gli altri; oppure, molti venivano legati e gettati in mare con sassi appesi ai piedi.

Il dramma degli esuli istriani giuliani e dalmati

Quello degli esuli è stato un dramma nel dramma, non solo la decisione di lasciare tutto per tornare in terra patria ma anche il trattamento ricevuto all’arrivo. Molti degli esuli furono smistati in vari campi come a Novara e persino in quello di Fossoli, noto teatro delle violenze nazi-fasciste. Agli occhi degli italiani quei cittadini non erano fratelli da accogliere, ma traditori della patria additati come fascisti, colpevoli solo di avere paura della morte dei propri cari. 

Facendo soprattutto riferimento a quanto accaduto nella penisola istriana, le testimonianze di storici e discendenti di esule coincidono tutte, gli esuli non sono solo state vittime delle leggi del governo di Tito, che non gli ha praticamente lasciato scelta se non quella di partire con una valigia che poteva arrivare ad un peso massimo di 50kg e pochi spiccioli, lasciando tutto il resto al governo slavo. 

Famiglie che non avevano la certezza di ritrovarsi interamente nei campi, ci sono stati casi di bambini affidati i vicini perché tutta la loro famiglia si trovava da un’altra parte. Le fasi dell’esodo si dividono su due grandi archi temporali; la prima tra il 1946 e il 1951, che ha coinvolto le città di Fiume e Pola insieme ad altri territori annessi alla Jugoslavia, la seconda invece tra il 1953 e il 1956 coinvolgendo la penisola dell’Istria. Gli effetti dell’esodo si possono vedere dai censimenti, se negli anni di inizio delle migrazioni sul territorio istriano erano presenti circa 500mila italiofoni (il 58% della popolazione) nel 1991 erano poco più di 20mila. La dipartita degli esuli dai territori dell’adriatico orientale si è conclusa anche una parabola di sedimentazione che ha avuto inizio in età romana (A Spalato risiedeva l’imperatore Diocleziano ad esempio).

L’importanza del Giorno del Ricordo come momento di riflessione condivisa

Il Giorno del Ricordo dovrebbe essere un momento di riflessione e messa in discussione, un momento in cui occorrerebbe analizzare la storia e non la memoria, come direbbe Alessandro Barbero, perché è attraverso l’uso corretto dell’analisi storica che è possibile affrontare un tema tanto delicato come quello delle foibe e degli esuli. Evitando di incappare in terminologie abusate come quella di genocidio, oppure usare tale ricorrenza come contraltare all’olocausto, strumentalizzare la sofferenza negando altra sofferenza umana. 

La memoria è importante, soprattutto se perpetuata da chi è testimone oculare delle atrocità di una guerra sanguinosa che ha cambiato l’assetto geopolitico mondiale. E forse proprio questo assetto ha contribuito al perpetuarsi del silenzio fino almeno a 20 anni fa, quando si è finalmente iniziato a parlare di memoria; la Jugoslavia era un cuscinetto che separava l’occidente e il mediteranno dalla Russia sovietica, troppo importante per gli equilibri dunque per permettere alla memoria di emergere. 

Non esistono parole giuste per ricordare l’eccidio delle foibe ma il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo discorso del 2019 ne ha parlato così: “Celebrare la giornata del Ricordo significa rivivere una grande tragedia italiana, vissuta allo snodo del passaggio tra la seconda guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda. (…) Non si trattò – come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato a insinuare – di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni. Solo dopo la caduta del muro di Berlino – il più vistoso, ma purtroppo non l’unico simbolo della divisione europea – una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e del successivo esodo, restituendo questa pagina strappata alla storia e all’identità della nazione”.

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