Vai al contenuto

Bambini maltrattati, uccisi e buttati nelle fosse comuni: gli orrori che costano 40miliardi al Canada

Pubblicato: 11/04/2022 08:01

Un accordo da 40miliardi di dollari canadesi per riformare il sistema di assistenza all’infanzia e risarcire le famiglie indigene che negli anni sono state discriminate da questa politica. Questa è stata l’audace presa di posizione del governo canadese, soprattutto a seguito delle recenti scoperte delle fosse comuni rinvenute nei pressi delle scuole residenziali per indigeni, dove i bambini delle Prime Nazioni (come vengono chiamati i nativi) venivano rimandati per essere rieducati alla cultura e alla religione occidentale.

Secondo le stime sono più di 100mila i bambini nativi che, a partire dal XIX secolo, sono stati costretti a trasferirsi in collegi cristiani, strappati alle loro famiglie e alle loro tradizioni; gli ultimi collegi sono stati operativi fino al 1996. Mentre altri sono stati strappati alle loro famiglie, con le quali vivevano nelle riserve, per essere affidati allo Stato e, in molti casi, finendo in età molto giovane in prigione.

Le scuole degli orrori, cosa succedeva nelle scuole aborigene residenziali

Si chiamavano Scuole aborigene residenziali ed erano una rete di collegi sparsi su tutto il territorio canadese atte ad ospitare i bambini indigeni: indiani, oggi Prime Nazioni, métis e inuit. Le scuole erano state fondate dalla struttura governativa Indigenous and Northern Affairs Canada, amministrate dalla Chiesa Cattolica Canadese, dalla Chiesa Anglicana del Canada e dalla Chiesa Unita del Canada.

Le politica di ammissione dei piccoli nella scuola era in realtà basata sul sequestro dei bambini dalle loro famiglie e dalle loro tribù, portarli nelle strutture allontanandoli così per sempre dalla loro cultura e dalle loro tradizioni. Le scuole degli orrori sono state spesso soggette a durissime polemiche in quanto solo negli anni sono emerse le atrocità ai quali i bambini venivano sottoposti: oltre al distacco dalle loro famiglie e dalla cultura ancestrale, gli ospiti delle scuole subivano costanti abusi fisici e psicologici, sterilizzazioni e, in alcuni casi, anche abusi sessuali.

Il tutto avveniva sotto la tutela di una legge emanata nel 1857 chiamata Gradual Civilization Act, ovvero Legge di civilizzazione graduale. In totale sono stati 150mila i bambini strappati alle loro famiglie e internati in questi istituti lager tra il 1863 e il 1998 e sono almeno 4mila quelli che sono sicuramente morti all’interno di esse senza che di loro sia rimasta traccia.

A ricostruire quanto accaduto in quelle scuole è la Truth and Reconciliation Commission, che già nel 2015 ha reso noto il primo rapporto sugli abusi fisici e sessuali subiti dai bambini; molte delle morti sono avvenute per malattia e malnutrizione.

Fosse comuni con i resti di più di 1000 bambini

A partire dal mese di maggio 2021 sono state scoperte le prime fosse comuni contenenti i resti di questi bambini, molti rimasti senza nome, scatenando una dura protesta da parte dei popoli delle Prime Nazioni e una breve ondata di violenze sfociata nell’incendio di molte chiese cristiane.

I primi ad essere ritrovati sono stati i resti di 215 bambini appartenenti alle tribù dei Tk’emlúps te Secwépemc a Kamloops, British Columbia. Successivamente anche la tribù dei Cowessess ha annunciato la scoperta di almeno 751 tombe vicine alla vecchia Indian Residential School di Marieval nella provincia canadese del Saskatchewan.

I bambini delle riserve indiane tolti alle famiglie e dati in affidamento

Non ci sono state solo le Residential School, in Canada il problema dei bambini tolti alle famiglie ha colpito anche quelli residenti nelle riserve. Sono centinaia i bimbi che sono stati dati in affidamento a causa delle pessime condizioni di vita all’interno delle aree di residenza dei nativi.

Nei mesi di settembre, un tribunale canadese aveva disposto l’obbligo al governo di pagare un risarcimento di 40mila dollari canadesi per ogni bambino nativo allontanato dalla propria famiglia a partire dall’anno 2006. Decisione che il governo sembrava inizialmente voler contestare ma che, a causa del ritrovamento delle fosse comuni e dell’inizio dei disordini ha fatto poi dietro front.

Il governo canadese risarcirà le vittime delle scuole residenziali e del sistema degli affidamenti

Già a partire dai primi anni del novecento, quella delle Residential School era stata definita una “Vergogna nazionale” (il primo a rilanciare questa definizione è stato il quotidiano canadese Montreal Star). A ridosso della scoperta delle fosse comuni, il Primo Ministro Trudeau aveva espresso il suo dolore scusandosi a nome del Paese, ribadendo l’importanza di imparare dal passato.

Il Canada ha annunciato un accordo che prevede un ammontare di 40 miliardi di dollari canadesi, circa 28 miliardi di euro, per riformare il sistema di assistenza all’infanzia e risarcire le famiglie indigene che negli anni sono state discriminate. Metà della somma sarà destinata a risarcire quei bambini che sono stati tolti dalle famiglie affidate alle cure statali.

Genocidio dimenticato o genocidio volutamente negato?

Quanto scoperto lo scorso anno in Canada ha spostato l’attenzione su un tema che troppo spesso, per vergogna o omertà è stato tragicamente oscurato: quello del genocidio dei popoli delle Prime Nazioni. Sotto il “motto”, se possiamo definirlo tale, de Uccidi l’indiano, salva l’uomo l’occidente si è macchiato di un crimine che nessun processo potrà mai essere strumento di giustizia. Non c’era nessuna opera di salvezza, nessuna opera di carità solo la tracotanza occidentale del sentirsi superiore ad una cultura riconosciuta come primitiva; se ai tempi dei padri gesuiti, che per primi hanno incontrato le popolazioni aborigene del sud e del nord America (siamo tra il ‘500 e il ‘700) questi erano visti come bambini da prendere per mano ed educare al credo cristiano e ai valori occidentali, col tempo le missioni si sono fatte violente e traumatizzanti. Le scuole residenziali viste con gli occhi di oggi possono essere pensate come progenitrici di quanto abbiamo visto accadere durante la seconda guerra mondiale: uno sterminio metodico, pensato nel dettaglio per sradicare i bambini da tutto ciò che li rendeva non solo nativi ma anche persone. Pochi di quelli che sono sopravvissuti agli orrori delle scuole (e dei quali si è tenuto traccia) sono finiti nei giri della droga e della delinquenza trovando di fronte a loro solo le porte aperte del carcere.

L’elemento forse più grave però è il silenzio, non soltanto ai tempi in cui queste scuole erano aperte e in piena attività (che ricordo essere cessata negli anni ’90). Nonostante i primi reportage, come quello de Il Manifesto datato 2010 e intitolato Genocidio canadese, o il report siglato nel 2015, per anni il tema delle atrocità delle Residential School è rimasto occultato alla luce del sole finché il mondo interno, non solo il Canada, si è trovato di fronte a quasi mille resti umani senza nome, bambini, adolescenti, esseri umani deumanizzati al punto da essere gettati in un buco nel terreno senza che nessuno lo sapesse e oggi, seppur le Prime Nazioni chiedono i registri con i nomi dei bambini trascinati in quelle scuole, sembra davvero impossibile poterli identificare.

Il Vaticano non si è espresso prima di una settimana dalla scoperta dei resti di Kamloops, quando il Papa ha definito l’accaduto “Un ritrovamento terribile e scioccante” . Parole importanti arrivate dopo anni di attesa dai popoli delle Prime Nazioni, soprattutto dopo che nel 2018 il Vaticano, sempre nella figura del Pontefice, aveva preso le distanze affermando di non poter essere lui a rispondere dell’accaduto, invitando però le autorità religiose locali ad iniziare un percorso di riconciliazione.

La scoperta delle fosse comuni ha generato una forte ondata di violenza che si è riversata principalmente contro gli istituti religiosi, sono state almeno 5 le chiese cristiane date alle fiamme. Le scuse non saranno mai sufficienti, come le ammissioni di colpa, ma il gesto del governo canadese di risarcire i bambini vittime di questi sistemi è un primo passo destinato a fare storia insieme alla decisione del Presidente Biden di celebrare l’Indigenous People’s Day in concomitanza con il Columbus Day (11 ottobre) per riconoscere “La resilienza e la forza dei popoli indigeni, come l’incommensurabile impatto positivo che hanno avuto su ogni aspetto della società”.