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Madri o lavoratrici, le donne in Italia ancora costrette a scegliere tra famiglia e carriera: la metà è disoccupata

Pubblicato: 06/05/2022 18:09

Quasi la metà della donne madri, in Italia, non è occupata. Il rapporto di Save The Children sul tema lavoro e maternità ci presenta dei dati aberranti sulla condizione delle donne lavoratrici nel nostro Paese, che devono scegliere se avere un impiego, una carriera, indipendenza economica, o avere dei figli. In quest’ultimo caso, spesso, sono automaticamente tagliate fuori dal mercato del lavoro, costrette a perdere quel diritto sancito dalla stessa Costituzione alla base dello Stato italiano. La situazione va oltre la discriminazione di genere e si lega anche al tasso di denatalità che diventa ogni anno maggiore e che creerà gravi squilibri e problematiche per lo sviluppo del Paese.

Donne, o i figli o il lavoro: l’Italia ci vuole madri senza pretese

Domenica 8 maggio sarà la Festa della mamma, una ricorrenza in cui generalmente assistiamo a un profluvio di dichiarazioni sull’importanza delle madri, che si prendono cura di noi, che ci sostengono nella nostra vita accompagnandoci nelle nostre scelte, che si sobbarcano la gestione familiare e con stoico coraggio si sacrificano per il bene di figli e figlie, compagni e compagne, mariti e mogli, genitori anziani. Peccato che la società italiana ripaghi questi “angeli” scesi in terra privandole di un diritto fondamentale, quello al lavoro.

Le adulazioni e l’edificazione romantica delle madri, che non mancherà da ogni parte l’8 Maggio, non coprirà la condizione di esclusione sociale che le donne con figli subiscono. I dati presentati nel rapporto Le Equilibriste. La maternità in Italia 2022 di Save The Children presenta un quadro desolante di come vengono considerate le donne madri nella quotidianità, al netto di giornate celebrative, mimose, dichiarazioni di sostegno e quant’altro. La verità che emerge è che le madri non sono riconosciute come un segmento produttivo della società, parte della forza lavoro che viene di fatto lasciata inattiva.

I dati sulla maternità in Italia: una madre su due è disoccupata

Passiamo ad analizzare i dati presentati dal rapporto. In merito alle donne con figli occupate tra i 25 e i 54 anni sono il 57,4%, poco più della metà, contro l’88,2% degli uomini. Una donna madre su due, insomma, è disoccupata e quelle con un lavoro scontano comunque un gap salariale così diffuso da essere identificato con un termine ormai in voga nelle ricerche sulla parità di genere: motherhood penalty.

Il tasso di occupazioni delle madri vede una riduzione all’aumentare del titolo di studio, ma la differenza con gli uomini resiste: le madri lavoratrici con licenza media sono solo il 35,5% (81,7% gli uomini); il 59,7% con il diploma (91,8% gli uomini); l’82,1% con almeno una laurea (97% gli uomini).

Tasso occupazione per ripartizione geografica

Impieghi part-time, contratti precari e bassa retribuzione: com’è il lavoro delle donne

Per quanto riguarda le madri lavoratrici, la loro condizione non può essere nemmeno paragonata a quella dei padri, che nonostante le difficoltà del panorama lavorativo italiano se la cavano comunque meglio delle loro co-genitori. La situazione è precaria (letteralmente) in generale per le donne.

L’INAPP (Istituto Nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) ci dice che i rapporti lavorativi trasformati in contratti a tempo indeterminato nel 2021 solo per il 38% hanno riguardato donne. Nel primo semestre nel 2021, i contratti attivati a lavoratrici sono stati per la maggior parte a tempo determinato, poi per lavoro stagionale, somministrazione e solo nel 14,5% si è trattato di indeterminati.

Le madri poi sono condannate al part-time: quasi il 50% dei contratti attivati a donne è per un impiego a tempo parziale (2,2 milioni di occupate, una donna su tre, lo sono part-time) e la maggior parte di queste ha almeno un figlio minorenne. La percentuale di lavoratrici tra i 25 e i 54 anni part-time con figli è del 37,9%, contro il circa 6% degli uomini. A 6 donne su 10, inoltre, il part-time è imposto e non è stata una libera scelta.

Grafico lavoro part-time

La differenza del percorso lavorativo degli uomini e delle donne inizia comunque ben prima che entrino in gioco i figli. Il più chiaro segnale di discriminazione arriva dalla busta paga, che premia decisamente gli uomini, i quali ottengono aumenti molto più velocemente e frequentemente delle donne. L’inizio della carriera vede queste differenze che si acuiscono andando avanti, creando poi un “circolo vizioso” per cui, quando nasce un figlio, la coppia decide chi sta a casa a fare il genitore e la scelta ricade ovviamente su chi porta meno soldi in casa, ovvero le donne.

Le donne incatenate a lavoro domestico e cura della famiglia

Il rovescio della medaglia di questa situazione, ovviamente, è che ancora oggi “la ripartizione del lavoro domestico e di cura all’interno della famiglia” risulta “squilibrata a svantaggio delle donne“, si legge nel rapporto. Per le madri è impossibile conciliare una vita lavorativa con la presenza di figli che, in caso di genitori entrambi occupati, nel 60% circa dei casi vengono affidati ai nonni per la fascia fino ai 5 anni.

E per chi non dispone di genitori in grado di occuparsi dei nipoti quando si è a lavoro? Le alternative sono ben poche. Openpolis, nel suo rapporto sugli asili nido, ci spiega come le Regioni dove l’occupazione femminile è più bassa sia anche quella dove ci sono meno strutture per la prima infanzia.

grafico openpolis
Asili nido e occupazione femminile. Fonte: Openpolis

L’asimmetria della cura domestica e familiare che grava maggiormente sulle donne si riflette anche sulle motivazioni nelle dimissioni delle lavoratrici. Il 38% delle 30.911 dimissioni volontarie presentate da donne nel 2020 ha avuto come causa l’impossibilità di conciliare vita professionale con cura dei figli, dovuto per il 27,1% all’assenza di parenti di supporto e per l’8,4% ai costi proibitivi di baby-sitter e asili nido.

Il Covid-19 ha colpito più le donne degli uomini

L’anno pandemico in particolare è stato l’ecatombe per quanto riguarda le donne, che hanno subito un impatto occupazionale molto peggiore rispetto agli uomini, tanto che si è identificato il fenomeno noto come shecession o momcession. Il 2020 Risks that Matter dell’OECD ha spiegato come, con la chiusura di scuole e istituti per l’infanzia a causa della pandemia, le donne hanno dovuto sobbarcarsi ulteriore lavoro domestico non retribuito. Il 61.5% delle madri di figli minori di 12 anni affermano di essere loro ad aver dovuto far fronte alle cure familiari extra, contro il 22.4% dei padri.

L’Italia, in particolare, è ben al di sotto della media OECD sia per quanto riguarda la modifica dei punti percentuali della partecipazione della forza lavoro, sia per i tassi di impiego tra la fine del 2019 e l’inizio del 2021. Le donne madri hanno visto maggiormente mutare la loro condizione lavorativa nella parentesi pandemica, ma anche quella legata alla percezione della loro vita: sono più stressate, meno ottimiste riguardo la possibilità che la tecnologia possa aiutarle nella vita professionale e più rassegnate rispetto ai padri a svolgere lavoro di cura non pagato.

L’emergenza donne e lavoro riguarda tutta la società

Questa condizione di svantaggio oltre a essere una chiara ingiustizia nei confronti delle donne, è un problema per tutta la società. Non solo per i tassi di natalità sempre più bassi, con donne che si trovano a dover scegliere tra figli e carriera, ma anche e soprattutto perché, di fatto, le potenzialità di larga parte della popolazione rimangono inespresse. La giustizia di genere dovrebbe essere una priorità per il governo, che si limita a prendere atto della situazione e a fare vuote promesse ogni Festa della mamma.

Invece di fiori regaliamo alle donne madri parità salariale, e ai padri uguale accesso ai permessi parentali, asili nido a basso prezzo, scuole attrezzate a fare il tempo pieno, flessibilità senza svantaggi salariali e un sistema sanitario capillare in grado di offrire assistenza a genitori anziani e bisognosi di cura a tempo pieno. Per una volta, loro ne hanno il diritto e la società ha il dovere di fornirglielo.