Vai al contenuto

Omicidio di Aldo Moro: storia del rapimento che tenne il Paese con il fiato sospeso e cambiò la Repubblica

Pubblicato: 09/05/2022 08:53

Il 9 maggio 1978 segnò una sorta di svolta per la storia della Repubblica, il corpo senza vita di Aldo Moro venne trovato nel bagagliaio di una Renault 4 nel cuore della capitale. Si concludevano, così, le 55 giornate di prigionia dello statista, culmine degli anni di piombo, una delle pagine più buie del nostro paese.  
Leggi anche: Aldo Moro, la verità sul cadavere: lo avevano trovato prima della chiamata delle Br, la politica sapeva

Furono 55 giorni difficili e lunghi, segnati da 9 comunicati delle Brigate Rosse, che tenevano lo statista nascosto. Le indagini non si fermarono, furono istituiti posti di blocco in tutto il paese (più di 72mila secondo la relazione stipulata dalla “Commissione Moro”), non mancarono le perquisizioni nelle case private e neppure le ispezioni sia a veicoli che a persone per strada, ma il luogo della prigionia non fu mai scoperto.  
Le fratture politiche avrebbero cambiato per sempre il paese, cadde il compromesso storico e si concluse il periodo del governo di solidarietà nazionale.  

Aldo Moro: il compromesso storico e il rapimento  

Il 16 marzo 1978 sarebbe stata una giornata importante per il governo italiano. Era previsto il voto di fiducia al nuovo governo, il quarto guidato da Giulio Andreotti, che segnava la nascita del compromesso storico. Per la prima volta nella storia del secondo dopoguerra il Partito Comunista Italiano stava per entrare tra le file della maggioranza, al fianco della Democrazia Cristiana di Moro dopo decenni di opposizione.  

Poco dopo le 9 del mattino all’altezza di via Fani il corteo di auto che scortava Aldo Moro venne bloccato da cinque uomini delle Brigate Rosse. I brigatisti aprirono il fuoco contro la scorta del presidente della DC, esplodendo oltre 90 colpi d’arma da fuoco e ferendo mortalmente 5 militari (Raffele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi). Moro ne uscì illeso ma venne prelevato dai brigatisti, che subito ne annunciarono il sequestro.  

I rapitori di Aldo Moro
I rapitori di Aldo Moro (Valerio Morucci «Matteo», Raffaele Fiore «Marcello», Prospero Gallinari «Giuseppe» e Franco Bonisoli «Luigi»)

Scattarono immediatamente i blocchi stradali e venne subito ritrovata l’auto dei rapitori, poco lontano da via Fani, luogo del sequestro. I giornali uscirono con edizioni straordinarie, mentre lavoratori, studenti e cittadini scesero in piazza, su appello dei partiti, per manifestare contro il terrorismo.  

I giorni del rapimento e il processo ad Aldo Moro 

La mobilitazione per ritrovare Aldo Moro fu massiccia fin dai primi momenti successivi al rapimento in via Fani. La prima svolta vera e concreta nel caso Moro si ebbe solamente due giorni dopo, sabato 18 marzo, quando la redazione de Il messaggero riceve una telefonata che indica la posizione del primo comunicato delle Brigate Rosse

Nel testo si leggono le rivendicazioni dei brigatisti, in una netta contrapposizione tra un “noi” e un “loro”, che indica lo Stato proletario del quale il Partito Comunista faceva ormai parte. La ragione del rapimento è che i brigatisti ritengono che il compromesso storico sia uno sfregio alla sinistra, della quale loro sono i sono i portavoce e rappresentanti. Si apriva, così, il processo ad Aldo Moro, sottoposto al “Tribunale del Popolo”. 

Il comunicato n.1 si chiude con l’incitazione ad unirsi al “movimento rivoluzionario”, contribuendo a creare “il partito comunista combattente” contro lo “stato imperialista delle multinazionali”.  
Dentro alla busta arancione del comunicato c’era anche la polaroid che ritraeva Aldo Moro e che divenne simbolo delle 55 giornate di prigionia.  

Aldo Moro: storia del rapimento
Polaroid del rapimento di Aldo Moro

La caccia all’uomo, le lettere e i compromessi 

Il caso Aldo Moro tenne tutto il paese con il fiato sospeso per quasi due mesi, durante i quali le indagini continuarono assiduamente, ma senza mai arrivare a nessuna svolta significativa.  

Nel frattempo, i comunicati delle Brigate Rosse non si interruppero e il 29 marzo arrivò il terzo, che allegava anche una lettera scritta da Aldo Moro e rivolta al Ministro degli Interni Francesco Cossiga. L’idea era che i brigatisti avessero costretto Moro a scrivere la lettera per sbloccare le trattative tra i rapitori e lo Stato.  

La linea d’azione che venne scelta dal Governo era infatti ormai chiara: chiusura e non tolleranza nei confronti dei terroristi. Non vi sarebbe stato nessuno scambio, nessuna trattativa e neppure un dialogo. Contro a questa linea si stagliò solamente Bettino Craxi, leader dei Socialisti, che riteneva importante aprire una trattativa con le Brigate. A lui si unirono anche i radicali, la sinistra non comunista e alcuni tra i cattolici progressisti e gli intellettuali, ma a nulla servì, il Governo aveva deciso. 

Aldo Moro: la fine del processo  

I comunicati delle Brigate Rosse continuarono ad arrivare e le indagini non si fermarono un attimo. Il 15 aprile, il sesto comunicato annunciò la fine ufficiale del “processo popolare”, concluso con la condanna a morte per Aldo Moro. Il 18 aprile una svolta nelle indagini aprì nuove speranze.  

Grazie ad un’infiltrazione d’acqua, gli uomini dell’Arma riescono a scoprire uno dei covi delle BR, quello in via Gradoli 96. L’irruzione nell’appartamento, però, infrange le speranze. Non vi erano brigatisti e neppure Moro, ma fortunatamente nemmeno il suo cadavere. Viene rinvenuto il comunicato numero 7, che annunciava l’esecuzione della condanna e l’abbandono del cadavere nel Lago della Duchessa.  

Il no definitivo alle trattative 

Si scoprirà poi che il comunicato altro non era che un falso e l’enorme dispiegamento di forze per setacciare il lago di montagna (peraltro ghiacciato in quel periodo) non servì a nulla. Il 20 aprile viene trovato il reale settimo comunicato con allegata una foto di Aldo Moro con un giornale del giorno precedente.  

Le giornate che seguirono furono una convulsa serie di scelte sbagliate e decisioni non prese. Il 24 aprile i brigatisti chiedono la liberazione di 13 dei loro uomini detenuti in cambio della vita di Moro. Furono consegnate parecchie delle lettere scritte dallo statista a politici, amici e familiari. Craxi insiste per aprire un dialogo e giungere ad una conclusione positiva, ma il segretario della Democrazia Cristiana Benigno Zaccagnini non si pronuncia.  

Il 5 maggio Giulio Andreotti, che nel frattempo è riuscito a formare il governo del compromesso storico, ripete il suo no categorico alle trattative. Il comunicato numero 9, l’ultimo, annunciava la fine della “battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza”, allegando anche una lettera di Aldo Moro indirizzata alla moglie.  

Aldo Moro: il corpo nel bagagliaio della Renault rossa 

Alle 13 del 9 maggio 1978 la segreteria della DC riceve una telefonata delle Brigate Rosse. In via Caetani a metà strada esatta dalla sede della DC e da quella del PCI si trova una Renault 4 rossa. Intervengono le forze dell’ordine, accompagnate anche dal nucleo artificieri per paura di un possibile ordigno. Il bagagliaio della macchina viene divelto, al suo interno solamente una coperta, con il corpo rigido ed esanime di Aldo Moro.  

Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro
Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro

Saranno poi condotti in arresto e dichiarati colpevoli per la morte di Aldo Moro i brigatisti Mario Moretti e Germano Maccari in quanto esecutori materiali dell’omicidio. Le condanne, i processi e gli arresti continuarono per parecchio tempo, ma prima di vedere le Brigate Rosse sgominate si dovrà attendere almeno il 1987. Ma il ritrovamento del corpo di Aldo Moro portò alle dimissioni del Presidente degli Interni Cossiga.

La lettera alla “dolcissima Noretta” e i funerali di Aldo Moro

Nell’ultimo comunicato delle BR era allegata anche l’ultima lettera scritta da Aldo Moro a sua moglie, Eleonora Chiavarelli.  

“Mia dolcissima Noretta” si legge, “siamo ormai, credo, al momento conclusivo”. “Vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della DC con il suo assurdo ed incredibile comportamento”, attacca Moro, “va detto con fermezza, così come si deve rifiutare eventuale medaglia che si suole dare in questo caso”, “moltissimi amici [..] non si sono mossi come avrebbero dovuto. Cento sole firme raccolte avrebbero costretto a trattare”.  

“Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. Sii forte, mia dolcissima in questa prova assurda e incomprensibile. [..] Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce sarebbe bellissimo”.  

La famiglia, dal canto suo, decise di seguire le chiare e precise indicazioni che Aldo Moro aveva fornito fin dai primi momenti di prigionia, di non accettare o appoggiare “nessuna manifestazione pubblica o cerimonia o discorso: nessun lutto nazionale, né funerali di Stato o medaglia alla memoria”. “La famiglia si chiude nel silenzio e chiede silenzio. Sulla vita e sulla morte di Aldo Moro giudicherà la storia”.