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La tesi di Zafesova: Israele conseguenza dell’invasione in Ucraina

Pubblicato: 27/10/2023 17:31
La tesi di Zafesova: Israele conseguenza dell'invasione in Ucraina

“Al di là dei legami che ci sono stati tra Hamas e Mosca, io continuo a chiedermi se questo attacco a Israele sia stato possibile perché prima c’era stato quello all’Ucraina. In fondo, è stato il precedente dell’aggressione a un paese libero che è rimasta finora impunita”.

The Social Post ha sentito Anna Zafesova, giornalista e traduttrice russa con cittadinanza italiana, già corrispondente da Mosca per La Stampa fino al 2004. E’ una delle analiste più informate sul conflitto russo-ucraino. L’abbiamo intervistata in occasione del suo intervento al ciclo di incontri per “Lezioni di democrazia”, in corso all’Università della Tuscia a Viterbo.
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La guerra in corso tra miliziani di Hamas e Israele può essere un vantaggio per Putin, visto che così l’invasione dell’Ucraina nei giornali e nei tg è quasi scomparsa?

“Le modalità dell’attacco terroristico di Hamas a Israele a me hanno ricordato molto quelle russe del 24 febbraio 2022 all’Ucraina. Come un qualcosa che sembrava non dovesse accadere più e invece è successo” osserva la giornalista, commentatrice – tra gli altri – per i quotidiani La Stampa e Il Foglio. “Certamente questo conflitto in Medio-oriente per Putin è un vantaggio: della situazione in Ucraina anche da noi si parlava già sempre meno, si era come routinizzata e si raccontava di una terribile quotidianità della guerra, con due fronti assestati su posizioni quasi ferme”.

Ma il fronte mediatico quanto è importante per gli ucraini da un lato e i russi dall’altro?

“È importantissimo, tanto quanto quello in atto sul terreno. Perché l’Ucraina ha un forte bisogno di aiuti e sostegni dall’Occidente, ma un conflitto come questo in Medio-oriente toglie attenzione e risorse che vengono destinati lì. Così come le solidarietà dei cittadini. Pensate al vantaggio di Putin nel sottolineare che se Israele bombarda Gaza va bene, mentre se la Russia bombarda Kiev no. Nell’immediato ci guadagna lui, poi quando si approfondirà il perché di tutto questo, sarà molto diverso”.

Parliamo di influenze tra schieramenti: quanto questa Russia aiuta Hamas e su quali altri fronti sta giocando ora?

“Quelle su Hamas sono note, è un legame “tradizionale” che viene dall’Unione Sovietica, mentre sugli altri attori in scena dobbiamo fare attenzione. Un grande attore come l’Iran influenza la Russia, vista l’importanza dei suoi droni nella guerra all’Ucraina, ma certo è che poi la stessa Russia ha cercato di giocare su più tavoli, come con regimi più laici come l’Egitto o più utilitaristici come con l’Arabia Saudita, primo produttore mondiale di petrolio mentre i russi sono al secondo posto. È la conferma della strategia di Putin alla ricerca di alleanze in base al concetto che il nemico dei miei nemici è mio amico. Detto poi che la Russia ha buoni contatti con Israele, che non ha aderito al regime delle sanzioni contro Mosca“.

E questo come lei come lo spiega?

“La comunità russofona israeliana è molto numerosa ed è da sempre schierata a destra. Simpatizza per Putin e per la sua mano forte, quindi questi per Netanyauh sono voti importanti. Aggiungiamo poi che per l’elite russa Israele è uno dei paese di riferimento, sia per turismo e per avere un doppio passaporto, ma anche per le cure mediche”.

In questo contesto globale ha allora senso parlare di un’ipotesi di pace tra ucraini e russi?

“Bisogna capire cosa intendiamo per pace. Sia Kiev che Mosca smentiscono qualsiasi ipotesi di mediazione e lo stesso se parliamo di una tregua sul fronte bellico. Poi, giuridicamente, c’è stato un paese sovrano da una dittatura che ha annesso dei territori e ne rivendica altri volendo rovesciare il governo ucraino perché schierato con l’Occidente. Ora parlare di pace chiedendo agli ucraini di cedere quei territori già occupati non mi sembra una pace, perché significherebbe tracciare una riga sulla carta geografica e dire: di qua gli ucraini che potranno avere democrazia e aderire all’Europa, di là quelli che passeranno sotto una dittatura che nemmeno li accetterà come ucraini. E mi chiedo poi se l’Occidente potrà mai avallare questo processo improprio di pace. Il primo pensiero va a Taiwan, ovvio, ma questo significherebbe mandare al macero una buona fetta del diritto internazionale”.

C’è un’alternativa, se non proprio praticabile almeno auspicabile?

“Di fronte al pesantissimo sforzo bellico, con un certo piano militare, sostenuto da Putin in questi 18 mesi è lecito chiedersi quanto il regime russo terrà. Le cifre ci dicono che in Ucraina l’esercito russo ha impiegato finora circa un milione di uomini, con forti perdite di elementi e perdendo una metà dei territori occupati subito dopo l’attacco. Ecco, c’è da chiedersi fino a quando la classe dirigente di Putin lo seguirà in questo sforzo e in nome di quali ideali, il grande impero? Ma se non si diventa tali il consenso anche in una dittatura si subiscono pesanti contraccolpi”

E cosa accadrebbe dopo, cosa possiamo pensare che succederà di fronte a un collasso del regime putiniano?

“È questa oggi la prima domanda che dovremmo porci per non dover affrontare il caos dopo. Teniamo presente che tutti i centri di potere in Russia fanno capo a Putin ma agiscono come dei clan: ci sono grandi società o ministeri ognuno con proprie formazioni armate. La brigata Wagner in questo senso, e la storia della morte di Prigozhin è tutta da decifrare, è emblematica: è un gruppo che possiamo immaginare in una dittatura africana, non come una componente organica di un Paese che ha un seggio permanente alle Nazioni unite. E’ una banda di tagliagole finanziata dal bilancio dello stato russo, una delle tante entità a cui Putin ricorre in una situazione di enorme difficoltà, come quella di una guerra persa che potrebbe portare a esiti imprevedibili e rischiosi per l’Occidente”.

Ma in tutto questo l’opposizione in Russia, a iniziare dal suo leader Navalny, cosa può fare? Ammesso che non non sia ridotta all’impotenza.

“L’opposizione in Russia, per come noi la intendiamo, non esiste. Dopo il processo a Aleksey Navalny e all’incarcerazione sua e dei suoi seguaci nel 2021, con il suo rientro dalla Germania dopo l’avvelenamento, Putin è passato dall’autoritarismo, o da una democrazia illiberale, a una dittatura senza aggettivi. Cancellata ogni forma di espressione del dissenso, l’invasione dell’Ucraina è stata la logica conseguenza. Ora l’opposizione non può manifestare, non è in Parlamento e non è presente sui media, le ong chiuse o dichiarate anti-russe. Ci sono stime di almeno un milione di esuli russi, fuggiti per la guerra e che non riescono a farsi sentire, con una generazione di giovani molto più aperta e informata che è stata distrutta. Oggi ai bambini a scuola viene insegnato a marciare e a incitare l’esercito impegnato nella così detta operazione militare speciale: non è un buon segnale per una futura democrazia in Russia”.

Zafesova, all’orizzonte non appare quindi nessun possibile cambiamento?

“Ma tutto questo non vuol dire che in Russia non ci siano dissidenti. Ce ne sono tanti, ogni giorno ci sono arresti tra di loro ed è attiva una discreta resistenza, che fa sabotaggi sui binari dei treni di armi diretti in Ucraina, o aiuta ucraini portati in Russia a fuggire. Ma non ci tengono a farlo sapere, perché ad esempio ai dissidenti i servizi sociali minacciano di togliere i figli. Ma anche questo non possiamo chiamarlo opposizione”.

Ultimo Aggiornamento: 27/10/2023 17:35