Sarà una frase abusata, ma anche noi “rispettiamo l’operato della Magistratura”. Peccato, però, che per molti il processo a Giovanni Toti si sia già tenuto e concluso a tempo di record, naturalmente con la sentenza di condanna per il presidente della Regione Liguria (nonostante accuse tutte da dimostrare) da parte di coloro che sono garantisti solo con i propri compagni di schieramento, e da parte dello spietato tribunale dei social e dei professionisti dell’informazione. A ben vedere, vi sono aspetti opachi, a cominciare dalla tempistica preelettorale – di certo non inedita – della vicenda giudiziaria, e abbiamo già scritto come, sovente, le inchieste sui “governatori” avvengano precisamente in vista di tornate elettorali di vario genere, per poi concludersi con un nulla di fatto. Ma, in questo caso, c’è di più: c’è un reato che forse neppure sussiste, nel senso che i finanziamenti a Toti, su cui è retta l’intera impalcatura delle indagini, sono tutti quanti trascritti e registrati. Tracciati, come si dice in gergo tecnico, con causale “Erogazione liberale”. (Continua a leggere dopo la foto)

Il tema della trasparenza
Che non vi sia stato un profitto o un arricchimento personale, peraltro, lo certifica la stessa Guardia di finanza, quando annota che le somme ricevute – i famosi 75mila euro al suo comitato elettorale – venivano “utilizzate per sostenere spese correlate all’attività politica di Toti e dal proprio entourage”. Non rilevando, dunque, finanziamenti illeciti e quindi illegali, restano solo i rispettivi interessi degli indagati. Sicché ci domandiamo, come fa Claudio Velardi, il direttore de il Riformista, nel suo editoriale: “La politica non è anche il perseguimento di determinati interessi di forze sociali e imprenditoriali che, ovviamente, si devono conciliare con l’interesse pubblico generale?”. Tutt’al più, potremmo parlare di lobbying: i finanziamenti alla politica, ad esempio negli Stati Uniti, sono comunemente accettati senza scandalo, anzi sono pure disciplinati dalla Legge. Ogni quattro anni sappiamo quanto e da chi il tale candidato alla presidenza ha ricevuto “donazioni”, e parliamo di cifre assai consistenti, evidentemente elargite non senza un eventuale ritorno di interessi. (Continua a leggere dopo la foto)

Tra intercettazioni e giustizialismo
Occorrerebbe, magari, disciplinare l’attività di lobbying e il finanziamento della politica; non dovrebbe essere la Magistratura a stabilire se un amministratore debba più o meno essere interessato e coinvolto da un provvedimento o da qualsivoglia misura che egli promuova nell’esercizio delle proprie funzioni. Altresì notiamo un altro aspetto delle indagini, quello del cosiddetto polverone mediatico. Il riferimento è alle intercettazioni che vengono divulgate a mezzo stampa, a cadenza quotidiana, per mantenere i riflettori puntati sul caso. Anche questo aspetto, va detto, è affatto dissimile da tanti altri: molto spesso, non solo, sono conversazioni slegate dal contesto, ma per nulla inerenti all’inchiesta. Nel caso di Toti, parliamo dell’ultimo “scoop” relativo ai dati Covid aggiustati, che in realtà non c’entra nulla con l’indagine sui finanziamenti. Tornando all’editoriale di Claudio Velardi, questi cita la tattica tipica dello spionaggio: “Io ti piazzo un microfono addosso e vedo quello che ne viene fuori”.
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