Terry McKirchy, una donna di 62 anni, ha recentemente ammesso davanti ai giudici americani di aver “ucciso un uomo” a Fort Lauderdale, in Florida. Tuttavia, la sua confessione non riguarda un omicidio convenzionale: McKirchy ha infatti riconosciuto di essere responsabile delle lesioni che, 35 anni prima, hanno portato alla morte di Benjamin Dowling. Nel 1984, McKirchy lavorava come babysitter per la famiglia Dowling, che all’epoca aveva un bambino di cinque mesi. Durante il suo servizio, Benjamin ha subito un’emorragia cerebrale, che gli ha causato una disabilità permanente. Le indagini hanno recentemente confermato che le lesioni sono state provocate dalle percosse inflitte da McKirchy.
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La lettera della verità
In una lettera indirizzata ai genitori di Benjamin, l’ex babysitter ha confessato di aver picchiato il bambino a causa della stanchezza e della frustrazione dovute al troppo lavoro. “Dovevo occuparmi di tanti bambini contemporaneamente – ha scritto –. L’ho colpito perché ero esausta e frustrata”. Da quel giorno del 1984, Benjamin ha vissuto una vita segnata da gravi disabilità fisiche e mentali, rimanendo confinato su una sedia a rotelle e incapace di parlare o mangiare autonomamente fino alla sua morte, avvenuta il 16 settembre 2019.
Durante il processo, la madre di Benjamin ha raccontato che il giorno dell’incidente, al suo ritorno a casa, ha trovato il figlio inerte tra le braccia della babysitter, con i pugni serrati. I medici hanno confermato che le percosse avevano provocato l’emorragia cerebrale. McKirchy, durante la lettura della sua confessione in tribunale, non ha mostrato alcuna emozione. Nella sua lettera, ha scritto: “So di aver rovinato la vostra vita, e mi dispiace per quello che ho fatto”. Nonostante la sua confessione, McKirchy rischia l’ergastolo per omicidio colposo, dopo essere stata inizialmente accusata di omicidio di primo grado.
L’ex babysitter fu arrestata il giorno successivo alle percosse inflitte a Benjamin, ma si dichiarò “non colpevole” fino a poco tempo fa, quando ammise la correlazione tra le sue azioni e l’emorragia cerebrale del bambino. Nel 1985, durante la gravidanza, le venne concessa la libertà vigilata, ma ora è tornata in carcere per scontare la sua pena. I genitori di Benjamin hanno dichiarato che, nonostante la confessione abbia portato un certo sollievo, il dolore per la perdita del figlio rimane inalterato.