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Il giornalista Sanjari si è tolto la vita per protesta: chiedeva il rilascio di 4 attivisti iraniani

Pubblicato: 13/11/2024 22:14

“Moriamo per la vita”: Kianoosh Sanjari conosceva bene il prezzo della sua, di vita, al punto di metterne al valore il servizio allo scopo di pungere le coscienze: non solo quelle iraniane ma quelle di tutto il mondo. La sua vita si è infranta alle 19 di oggi, quando il valore è stato messo al servizio della protesta che Sanjari portava avanti per chiedere la disperata liberazioni di 4 attivisti: tra questi c’era anche la madre della 16enne che una settimana fa, per protesta, si era spogliata in pubblico a fronte del rifiuto di sistemarsi il velo imposto dalla polizia iraniana.
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Giornalista e attivista iraniano di 42 anni, ha lanciato un ultimo grido per i diritti civili in Iran con un gesto estremo: annunciando il suo suicidio sui social e chiedendo la liberazione di quattro prigionieri politici, ha scelto di lasciare questa vita per ricordare al mondo l’importanza della libertà e della dignità umana. “Non dimenticate che moriamo per amore della vita, non della morte”, ha scritto Sanjari prima di gettarsi dal ponte dedicato a Hafez, il celebre poeta persiano.

L’ultimo messaggio e l’appello per i prigionieri politici

La sua protesta è iniziata martedì scorso, quando Sanjari ha lanciato un appello via X (ex Twitter) chiedendo il rilascio di quattro attivisti detenuti, tra cui Nasrin Shakarami, madre di Nika, una giovane manifestante uccisa dalla sicurezza iraniana e simbolo del movimento “Donna, Vita, Libertà”. “Se Fatemeh Sepehri, Nasrin Shakarami, Toomaj Salehi e Arsham Rezaei non verranno rilasciati entro le sette di domani, porrò fine alla mia vita”, ha scritto. Quando la notizia della liberazione non è arrivata, nel tardo pomeriggio di mercoledì, un altro messaggio di Sanjari ha annunciato il suo ultimo gesto: “Sono le 19, Ponte Hafez”.

Il ricordo di una vita dedicata all’attivismo

Sanjari era nato a Teheran e fin da giovanissimo si era impegnato nei movimenti studenteschi per la libertà, diventando presto un volto noto della resistenza iraniana. La sua vita è stata segnata da arresti e prigionie: aveva lasciato l’Iran per un periodo, cercando rifugio in Norvegia e negli Stati Uniti, dove aveva collaborato con Voice of America, un canale d’opposizione finanziato dagli USA. Ma nel 2015 aveva deciso di tornare in patria per assistere l’anziana madre, accettando così il rischio di ulteriori persecuzioni.

Gli abusi subiti in prigione e la denuncia degli ospedali psichiatrici

Durante i suoi anni di detenzione, Sanjari aveva subito gravi abusi, come raccontato in varie interviste. In una testimonianza per Radio Farda aveva rivelato di essere stato ricoverato forzatamente in un ospedale psichiatrico, dove era stato sottoposto a “nove sedute di elettroshock e iniezioni di sostanze sconosciute”. La pratica di utilizzare gli ospedali psichiatrici per annullare e spezzare i dissidenti politici è uno dei capitoli più oscuri del sistema repressivo iraniano, e Sanjari era stato tra i pochi a denunciarla apertamente.

L’impatto del suo gesto sul mondo dell’attivismo

La sua morte ha scosso profondamente l’ambiente dell’attivismo iraniano e internazionale, suscitando reazioni da parte di sostenitori e oppositori. Anche chi, come il giornalista e attivista Hossein Yazdi, non condivideva le sue posizioni radicali, si è detto profondamente colpito dal gesto di Sanjari: “Mi sento soffocare, non credevo che lo avresti fatto, ma avrei voluto che mi avessi portato con te”, ha scritto su X. La notizia ha toccato un nervo scoperto nella società iraniana, dove molti attivisti denunciano la crescente repressione del dissenso e i soprusi subiti dai detenuti politici.

Un grido per la libertà che risuona in tutto il mondo

Kianoosh Sanjari ha scelto di compiere un gesto estremo per portare all’attenzione del mondo la difficile condizione dei prigionieri politici in Iran. Il suo sacrificio richiama la necessità di rispettare e difendere il diritto alla protesta e alla libertà d’espressione, valori fondamentali che egli ha cercato di far valere fino alla fine. Il suo messaggio “moriamo per amore della vita, non della morte” rimarrà impresso come un simbolo di resistenza, nella speranza che un giorno l’Iran e il mondo intero possano riconoscere e rispettare il diritto di ogni persona a vivere libera e senza paura.

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Ultimo Aggiornamento: 19/11/2024 10:51

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