Duecentomila soldati, pronti a muoversi sul campo, sotto l’egida dei principali Stati europei. Questa è la dimensione della forza di mantenimento della pace proposta per la zona di conflitto tra Russia e Ucraina, secondo il team di politica estera di Donald Trump. Tuttavia, tutto ciò dipenderebbe dalla volontà di Mosca e Kiev di concordare un cessate-il-fuoco, e dalla capacità dei governi europei di supportare un contingente di tale portata.
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La scorsa settimana, una delegazione ucraina ha avuto un incontro a Washington con il gruppo del nuovo presidente, che si appresta a insediarsi tra poco più di un mese. Alla guida della missione c’erano Andriy Yermak, capo dello staff del presidente Volodymyr Zelensky, insieme alla vicepremier Yulia Svyrydenko. L’incontro ha rappresentato un’opportunità per capire le intenzioni della squadra di Trump, in particolare quelle dell’inviato per l’Ucraina, Keith Kellogg.
Dai colloqui è emersa una chiara impressione: Trump desidera risolvere rapidamente la situazione per poter focalizzarsi su questioni legate all’Indo-Pacifico e al contenimento della Cina. Gli Stati Uniti sembrano puntare a un cessate-il-fuoco, anche se imperfetto, purché avvenga in tempi brevi. Il termine “quick and dirty” è stato utilizzato ripetutamente, evidenziando l’intenzione di ottenere una tregua “veloce e poco pulita”.
D’altra parte, la Casa Bianca sembra intenzionata a fermare i combattimenti, rimandando le questioni politiche a un secondo momento. È già evidente che agli ucraini non verranno fornite garanzie di sicurezza né dalla NATO né dagli Stati Uniti, una richiesta avanzata da Zelensky. Il leader ucraino teme che fermare il conflitto senza una solida protezione militare per il suo Paese concederebbe alla Russia il tempo necessario per riorganizzarsi e attaccare nuovamente. Questo è accaduto già dopo gli accordi di Minsk nel 2014-2015, e il Memorandum di Budapest del 1994, in base al quale Kiev abbandonò le proprie armi nucleari in cambio del riconoscimento dei confini, si è dimostrato inefficace: Mosca sta cercando di modificare quei confini, approfittando della mancanza di deterrenza nucleare da parte di Kiev.
In assenza di un impegno americano e con le speranze di un ingresso nella NATO ora archiviate, la responsabilità ricade sugli europei. Solo i governi dell’Unione possono offrire le uniche garanzie di sicurezza disponibili. Tuttavia, data la loro debolezza tecnologica e le risorse limitate, gli europei potrebbero dover schierare un contingente di pace in Ucraina sotto le bandiere nazionali, poiché il Cremlino non accetterebbe una forza sotto l’egida della NATO lungo quelli che considera i suoi confini. Negli ultimi giorni, Parigi e Londra hanno discusso di questa possibilità, con Emmanuel Macron che ne ha parlato durante una visita in Polonia.
Una parte significativa degli armamenti e dei sistemi di sicurezza informatica verrebbe fornita, o meglio venduta, dagli Stati Uniti. Resta da definire il numero del contingente. La squadra di Trump ha dichiarato la scorsa settimana che servirebbero duecentomila soldati, considerando che la linea di contatto con l’esercito russo si estende per circa duemila chilometri, da Chernhiv a Nord a Kherson a Sud. Non sorprende, poiché nel 1999 la forza internazionale di peacekeeping in Kosovo contava circa 40 mila militari (inclusi 3.100 russi), dopo un conflitto significativamente più breve e meno sanguinoso in un territorio di dimensioni più contenute, con appena 1,5 milioni di abitanti.
Oggi, tuttavia, duecentomila soldati rappresentano circa la metà delle forze disponibili da tutti gli eserciti europei e comporterebbero un livello di spesa molto elevato. Non sorprende, quindi, che gli ambienti vicini a Macron parlano di un massimo di quattro o cinque brigate europee, composte da ventimila uomini: un numero che risulta insufficiente. Gli ucraini si sono offerti di integrare le loro forze, ma resta da vedere se Mosca accetterà questa proposta. È incerto anche se le minacce americane, come l’invio di missili Tomahawk agli ucraini, basteranno a convincere il Cremlino a giungere a una tregua.
Tra “quick” e “dirty”, fino ad ora sembra prevalere quest’ultima: una guerra sporca che, per il Cremlino, appare ancora come l’unica missione di valore.