
Dietro alla compostezza delle celebrazioni e al dolore composto della Chiesa, si cela una verità che rende ancora più struggente l’addio a Papa Francesco: Jorge Mario Bergoglio sapeva di rischiare, ma ha scelto consapevolmente di restare accanto al suo popolo. Lo ha fatto contro il parere dei medici, contro le raccomandazioni di chi, per salvargli la vita, gli aveva chiesto isolamento, riposo assoluto, lontananza da tutto ciò che potesse affaticarlo. Ma per lui, rinunciare alla gente significava rinunciare a sé stesso.
Solo poche settimane fa era stato dimesso dal Policlinico Gemelli, dopo 38 giorni di ricovero per complicanze polmonari. Le indicazioni sanitarie erano chiare: evitare gli sforzi, non esporsi al freddo, limitare ogni apparizione pubblica. Tuttavia, Bergoglio ha fatto esattamente il contrario. Con quella testardaggine affettuosa che lo ha reso amato, ha ripreso lentamente a benedire, a uscire, a farsi “vedere” dai suoi fedeli. Perché credeva, fino in fondo, che la missione del Papa non fosse nel chiudersi, ma nell’andare incontro al dolore e alla speranza del mondo.
Durante la celebrazione di Pasqua, i segnali della fatica erano evidenti. Affacciato alla Loggia delle Benedizioni, ha parlato con voce flebile, una benedizione sussurrata, più che proclamata. Eppure, anche in quel momento, non ha voluto rinunciare al giro tra la folla, a stringere mani, a offrire sorrisi stanchi ma sinceri. È stato il suo ultimo atto d’amore.
Poi, nella notte tra domenica e lunedì, il cuore non ha più retto. Una crisi improvvisa, i tentativi disperati di salvarlo, e infine il silenzio. Ma quel silenzio parla chiaro: Francesco è morto come ha vissuto, in mezzo alla gente, donandosi fino all’ultimo respiro. E nel dolore della perdita, resta il suo insegnamento: l’amore non si misura in anni, ma nella capacità di restare, anche quando tutto dice di andare via.