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Omicidio Manuela Petrangeli, in aula l’orrore annunciato: “Gliela devo far pagare”

Pubblicato: 23/04/2025 21:26

«Maledetta, gliela devo fare pagare». È solo una delle frasi agghiaccianti pronunciate da Gianluca Molinaro, l’uomo a processo per l’omicidio di Manuela Petrangeli, la fisioterapista 51enne uccisa a colpi di fucile lo scorso 4 luglio a Roma. Oggi, mercoledì 23 aprile, in aula si è aperta una nuova udienza dal contenuto devastante: i messaggi vocali inviati dall’imputato nei mesi precedenti al delitto sono stati fatti ascoltare pubblicamente, dando voce a un crescendo di rabbia, minacce e ossessione.

Il processo in corso davanti alla Corte d’Assise racconta una storia di controllo, vendetta e rancore, culminata in un femminicidio premeditato, come contestato dalla Procura di Roma. Molinaro, ex compagno della vittima e padre del loro figlio, è accusato di omicidio volontario aggravato, stalking, detenzione abusiva di armi e ricettazione. Il movente? Un odio profondo per la libertà riconquistata da Manuela, che si era allontanata da lui, rifiutando ogni forma di controllo sulla propria vita.

Un orrore preannunciato

Le prove ascoltate in aula lasciano poco spazio ai dubbi: decine di messaggi vocali inviati tramite WhatsApp e recuperati grazie alla copia forense del cellulare dell’imputato testimoniano una crescente ossessione. «Mi sta portando all’estremo», si sente in una nota vocale. In altri messaggi, Molinaro accusa la donna di manipolare il figlio, mentre lei respingeva ogni accusa, denunciando anzi le pressioni continue: «Non manipolo nessuno, mi stai portando all’esasperazione».

A rendere ancora più inquietante il quadro è il contenuto degli scambi avuti da Molinaro con un amico, appena poche ore prima dell’omicidio: «Oggi forse prendo due piccioni con una fava», scriveva. Dopo l’esecuzione, un altro messaggio: «Gli ho sparato du botti». L’amico leggerà quelle parole quando ormai era troppo tardi.

La ricostruzione: la fuga e la resa

I carabinieri intervenuti in via degli Orseolo, a pochi metri dalla clinica dove Manuela lavorava, hanno ricostruito l’intera scena. Il corpo della donna era riverso accanto alla sua auto, mentre i soccorritori tentavano invano di rianimarla. Nel frattempo, Molinaro si consegnava in caserma, portando con sé la presunta arma del delitto, un fucile a canne mozze, poggiato sul sedile dell’auto.

In aula è stata riportata anche la testimonianza dei militari presenti al momento della resa: uno di loro ha riferito che l’uomo, al telefono con la madre, avrebbe detto: «Sono in caserma, quello che ho detto ho fatto». Parole che, unite agli indizi raccolti dagli inquirenti, tracciano il profilo di un delitto premeditato nei minimi dettagli.

La rabbia dei legali: “Non la voleva libera”

Durissima la posizione dei legali della famiglia Petrangeli e del figlio minorenne della vittima: «È emerso il profondo risentimento di Molinaro: un uomo che non la voleva libera, che l’ha stalkerizzata e che ha premeditato il delitto». Un uomo che, in quella spirale di violenza e controllo, non ha accettato l’autonomia della donna, decidendo di porvi fine con il sangue.

Un altro nome nella lunga lista dei femminicidi

Il processo prosegue, ma ciò che si delinea già adesso è la cruda verità di un femminicidio annunciato, documentato, pianificato. Una donna uccisa perché aveva scelto di vivere, lontana da chi la voleva possedere. Un’escalation di minacce e persecuzioni, che si è trasformata in morte, lasciando un figlio orfano, una comunità sconvolta, e l’ennesima ferita aperta in una società che troppo spesso si accorge tardi del pericolo.


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