
ROMA – Aveva fatto della toga uno strumento non solo di difesa, ma anche di inchiesta, impegno civile e racconto pubblico. È morto a 87 anni, nella sua casa di Roma, Nino Marazzita, uno degli avvocati penalisti più noti d’Italia, volto noto anche della tv e della divulgazione giudiziaria. Soffriva da tempo di una malattia contro cui ha combattuto, come ha scritto il figlio Giuseppe, “con la grinta di sempre”. Era nato a Palmi, in provincia di Reggio Calabria, ma viveva da decenni nella capitale, dove aveva il suo studio a Collina Fleming.
Una carriera lunga cinquant’anni tra processi e misteri
La carriera di Marazzita iniziò nel 1966. Da allora ha attraversato i più importanti delitti e misteri italiani, difendendo accusati eccellenti, rappresentando familiari di vittime, lottando per il diritto all’informazione e al dissenso. Fu avvocato di Pietro Pacciani, indicato come il “mostro di Firenze”, e legale della famiglia di Rosaria Lopez dopo l’orrore del massacro del Circeo del 1975. Parte civile anche nel processo per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini, fu accanto a Eleonora Moro nel tentativo di fare luce sulla morte del marito, Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978. Difese anche Donato Bilancia, autore di 17 omicidi tra Liguria e Piemonte.
Tra aule e schermi, la toga divenne anche racconto
Oltre alle aule di tribunale, Marazzita ha vissuto anche quelle della televisione. Conduceva la rubrica «L’Avvocato risponde» su Rai2, ha fatto parte del cast di “Forum” e “Lo sportello di Forum” su Mediaset fino al 2019, ed è stato un apprezzato commentatore di cronaca. Collaborava con testate di settore come Detective & Crime e Polizia e Democrazia, e dirigeva la rivista «L’eloquenza», fondata dal suo maestro, il professor Giuseppe Sotgiu.
L’ultima passione: i gialli e i casi irrisolti
Nel 2014 partecipò al documentario di LA7 «Fuoco amico – La storia di Davide Cervia», scomparso in circostanze mai chiarite. Era attratto dai casi irrisolti, con la vocazione quasi investigativa di chi non si accontenta del verosimile. Un’attitudine che ha trasmesso al figlio Giuseppe, anch’egli avvocato.
«Lascia un grande vuoto – ha scritto il figlio su Facebook – insieme al ricordo indelebile della sua intelligenza, della sua ironia, della sua grande umanità e della sua dolcezza». Un’eredità che resta incisa nella storia giudiziaria e culturale italiana.