
A quasi due anni e mezzo dall’inizio dell’invasione russa, i negoziati tra Russia e Ucraina tornano al centro della diplomazia internazionale. Ma il nuovo tavolo aperto da Mosca si presenta subito con contorni ambigui: mentre Vladimir Putin si tiene lontano dai colloqui, affidandoli a un delegato di secondo piano, Kiev resta ferma sulle sue condizioni, giudicando inaccettabili le richieste avanzate dal Cremlino.
La presenza di Vladimir Medinsky, già visto nel primo round di negoziati nel 2022, è letta da molti osservatori come un segnale di scarso impegno da parte di Mosca. Dall’altra parte, Volodymyr Zelensky ha affidato la rappresentanza al ministro della Difesa Rustem Umerov, a conferma di una disponibilità al dialogo, ma entro confini precisi: nessuna concessione territoriale, nessuna legittimazione dell’occupazione russa.

Mosca, invece, rilancia su richieste massimaliste: riconoscimento dell’annessione della Crimea, dei territori occupati di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson, creazione di zone cuscinetto demilitarizzate e un governo ucraino “neutrale”, ovvero filo-russo. Proposte che, nei fatti, ricalcano l’obiettivo strategico del Cremlino: trasformare l’Ucraina in uno Stato satellite, smantellando la sua indipendenza.
In questo scenario, la comunità internazionale osserva con attenzione ma anche con crescente scetticismo. Gli Stati Uniti, per voce del segretario di Stato Marco Rubio, ritengono che senza un confronto diretto tra Putin e il presidente americano Donald Trump, il negoziato rischi di restare un esercizio di facciata. L’Unione Europea, invece, cerca un difficile equilibrio tra il sostegno a Kiev e l’esigenza di riaprire spazi di diplomazia reale.

L’impressione, per molti analisti, è che Putin stia tentando una mossa tattica: usare i negoziati come leva per dividere l’Occidente, far apparire l’Ucraina come intransigente e scrollarsi di dosso la responsabilità della guerra. Un’operazione di propaganda internazionale che si scontra con la realtà dei fatti: bombardamenti ancora in corso e zero segnali di ritiro militare.
Il rischio, se i colloqui si dimostrassero solo un bluff negoziale, è quello di una nuova escalation militare. Il protrarsi della guerra significherebbe nuove vittime civili, distruzione, e un’ulteriore crisi umanitaria. Le ripercussioni sul piano geopolitico ed economico sarebbero gravi, con il rischio di incrinare ulteriormente gli equilibri europei e atlantici.
In definitiva, mentre il tavolo negoziale torna a riaprirsi, restano tutti i dubbi sulle reali intenzioni della Russia. Senza passi concreti, questi colloqui rischiano di trasformarsi nell’ennesimo capitolo di una guerra che continua a mietere vittime e a minacciare la stabilità globale. L’Occidente dovrà decidere se e come reagire a quella che potrebbe essere solo una manovra dilatoria del Cremlino.