
Il corpo era ancora massiccio, anche se piegato dal tempo. La pelle tirata, le mani larghe da lottatore, e quello sguardo eternamente teatrale: tra il serio e l’ironico, tra il cowboy e il supereroe. Hulk Hogan è morto all’età di 71 anni nella sua abitazione in Florida, colpito da un arresto cardiaco improvviso. La notizia è stata confermata dal sito americano TMZ, tra i primi a riportare la scomparsa della leggenda assoluta del wrestling professionistico.
Il suo vero nome era Terry Gene Bollea, ma per milioni di appassionati in tutto il mondo non è mai stato altro che Hulk Hogan, l’uomo che ha reso il wrestling un fenomeno globale, portandolo fuori dai ring e dentro le case, i videogiochi, i cartoni animati e le pubblicità. Un’icona americana e planetaria, capace di sopravvivere per decenni tra cambi d’abito, scenari narrativi assurdi e una popolarità senza uguali.
L’uomo che trasformò il ring in teatro pop
Hulk Hogan nasce a Augusta, in Georgia, nel 1953, ma cresce in Florida, dove da ragazzo sogna di diventare un bassista rock. Il fisico imponente lo porta però presto sulla strada della lotta: prima nel circuito locale, poi in WWE (allora WWF) dove, tra il 1983 e il 1991, diventa la figura più riconoscibile del wrestling mondiale.
La sua carriera esplode quando incarna l’eroe perfetto dell’era Reagan: biondo, muscoloso, americano fino al midollo, pronto a difendere i “valori giusti” contro cattivi sovietici, mediorientali o traditori interni. La sua rivalità con André the Giant, culminata nel WrestleMania III del 1987 con il famoso “body slam” da oltre 90mila spettatori, è ancora oggi considerata una delle più iconiche nella storia dello sport-spettacolo.
Poi l’alleanza con Mr. T, i match contro Macho Man Randy Savage, The Ultimate Warrior, The Undertaker, fino al clamoroso turn heel negli anni ‘90, quando diventò il leader del gruppo NWO in WCW, rivoluzionando di nuovo le regole del gioco.
Gli eccessi, il declino e la nostalgia
Hogan non è stato solo wrestler. È stato attore, testimonial, musicista, protagonista di reality show e spesso anche vittima del suo stesso personaggio. Negli anni 2000 la sua vita personale è finita sotto i riflettori: il divorzio, lo scandalo del sex tape, le cause milionarie contro Gawker, i rapporti difficili con i figli. E poi le accuse di razzismo, che lo costrinsero all’allontanamento dalla WWE per diversi anni.
Ma il pubblico, in fondo, non ha mai smesso di amarlo. Lo ha perdonato, come si fa con le leggende. Hogan era troppo dentro la cultura pop per poter essere cancellato. Era la voce nei videogiochi anni ‘90, era il protagonista dei meme, era la maglietta strappata in diretta tv, era il “leg drop” finale che chiudeva ogni match come un sigillo di cera.
L’ultima apparizione e l’eredità
La sua ultima apparizione ufficiale risale al gennaio 2024, in un evento celebrativo della WWE. Zoppicante, con la voce rotta, ma sempre teatrale, Hogan era salito sul ring con il microfono in mano e aveva detto: “Non sono mai stato un uomo perfetto, ma sono sempre stato me stesso”. Il pubblico lo aveva accolto in lacrime.
Con lui se ne va un pezzo d’infanzia per milioni di spettatori, una fetta di televisione urlata e sincera, un’epoca in cui il bene e il male stavano su ring quadrati, e bastava un gesto per distinguere l’eroe dal nemico. Se n’è andato l’uomo dei colori accesi, delle magliette gialle e rosse, delle frasi ripetute e del carisma infantile.
Ma più di tutto se n’è andato un simbolo. Hulk Hogan non è mai stato solo un atleta. È stato mito americano, favola postmoderna, idolo da merchandising e romanzo a cartoni animati. E oggi, nel silenzio irreale di una notizia arrivata via smartphone, ci si ritrova increduli a stringere tra le mani la nostalgia.
Perché se è vero che il wrestling è teatro, allora Hulk Hogan è stato il più grande attore dell’epoca dorata, l’uomo che più di tutti ha saputo farci credere che fosse tutto vero. Anche se sapevamo che non lo era. Anche se oggi, senza di lui, ci sembra ancora più finto.