Vai al contenuto

Dopo la (possibile) pace a Gaza adesso non dimentichiamoci dell’Ucraina

Pubblicato: 10/10/2025 10:04

Per un attimo, il mondo ha trattenuto il respiro. Le immagini di Gaza che torna a respirare, i leader che si stringono la mano, il ritorno degli ostaggi, l’annuncio di una tregua “storica” lanciata da Donald Trump e accolta – almeno per ora – da Israele e Hamas. Tutto questo sembra segnare una svolta, un punto di svolgimento che molti aspettavano da due anni. L’eco delle esplosioni, i crolli, le sirene, il dolore di migliaia di famiglie: tutto pare dissolversi in una notte che, per la prima volta, non è stata rossa di fuoco. È una tregua fragile, certo, ma è pur sempre un varco nella storia recente del Medio Oriente, un segnale che la guerra non è mai eterna, purché qualcuno abbia la forza di imporre la pace.

Eppure, mentre i riflettori si spostano su Sharm el-Sheikh, sulla stretta di mano tra negoziatori e sull’euforia del momento, il rischio è che questo sollievo collettivo diventi anche una distrazione. Nel silenzio mediatico che si allarga, un’altra guerra continua a bruciare: quella in Ucraina. Le telecamere sono già altrove, ma a Kharkiv, a Zaporizhzhia, a Dnipro, le bombe non hanno mai smesso di cadere. Ogni giorno si combatte, si muore, si resiste. Eppure se ne parla sempre meno, come se la guerra più vicina a noi – quella che riguarda la tenuta dell’Europa – fosse ormai archiviata, o peggio, normalizzata.

zelensky putin

L’Europa spettatrice senza forza

La verità è che la tregua in Medio Oriente non può diventare una scorciatoia morale. L’illusione di una pace ritrovata non deve trasformarsi in un alibi per tornare all’indifferenza. Perché l’Ucraina resta la frontiera della libertà europea, il luogo in cui si decide se l’Europa sarà ancora padrona del proprio destino o tornerà ad essere un protettorato di qualcun altro. E la lezione che arriva oggi dal Medio Oriente è chiarissima: l’Europa non ha toccato palla, non è stata nemmeno invitata a sedersi al tavolo. Non perché manchino diplomazie, ma perché mancano potere e forza. Non si pesa quando non si ha nulla con cui pesarsi.

In questa crisi, a muovere le leve del mondo sono stati Stati Uniti, Israele, Egitto, Qatar e persino Arabia Saudita. L’Europa è rimasta spettatrice, confinata a commentare, a esprimere “preoccupazione” e “speranza”. Perché? Perché non può fare altro. Perché non ha un esercito comune, una difesa autonoma, un comando politico capace di agire. È il paradosso di un continente che sogna di essere potenza, ma si ostina a non dotarsi degli strumenti per esserlo.

Una sinistra che non capisce la realtà

E qui diventa incomprensibile – e francamente irritante – la posizione di una sinistra che da un lato piange per un’Europa assente, e dall’altro la vuole disarmata. Che invoca l’“Europa della pace” ma rifiuta qualsiasi passo verso una difesa europea, come se la pace fosse un diritto acquisito e non una conquista da proteggere. Non si può chiedere all’Europa di contare, se la si priva della forza per farlo. Non si può pretendere che stia ai tavoli dove si decide il futuro del mondo, se la si costringe a presentarsi disarmata.

Serve un’Europa armata, forte e indipendente, capace di difendere se stessa e i propri valori, non per aggredire ma per contare. Un’Europa che non dipenda più da Washington per ogni scelta, che non debba bussare alla porta della NATO per ogni decisione, che non si ritrovi ogni volta a rincorrere le crisi decise da altri. È questo il nodo politico del nostro tempo, e la guerra in Ucraina lo ha già dimostrato: chi non ha la forza di difendersi, non ha nemmeno il diritto di scegliere la propria pace.

Se oggi Trump ha spinto per un accordo a Gaza, domani potrebbe cercare una “pace” anche a est, magari a condizioni imposte da Putin. E se l’Europa non sarà in grado di dire la sua, quella pace sarà scritta sopra la testa di Kiev e dei suoi alleati. Ecco perché non possiamo permetterci il lusso dell’oblio.

Gaza insegna che ogni trattativa è possibile solo quando qualcuno ha la forza di costringere le parti a sedersi. In Ucraina, quella forza si chiama unità occidentale. Ma se l’Europa si divide, se si stanca, se preferisce non guardare, allora la prossima tregua sarà quella della resa. La pace è un orizzonte, non un interruttore. E non si conquista una pace dimenticandone un’altra.

Continua a leggere su TheSocialPost.it

Hai scelto di non accettare i cookie

Tuttavia, la pubblicità mirata è un modo per sostenere il lavoro della nostra redazione, che si impegna a fornirvi ogni giorno informazioni di qualità. Accettando i cookie, sarai in grado di accedere ai contenuti e alle funzioni gratuite offerte dal nostro sito.

oppure