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Italia pronta a Gaza. Come Roma può partecipare alla forza internazionale di sicurezza

Pubblicato: 10/10/2025 11:26

Dopo la firma della pace a Gaza, l’Italia si prepara a un nuovo possibile impegno internazionale. Il governo ha già fatto sapere che, una volta garantite le condizioni politiche e di sicurezza, Roma è pronta a partecipare con proprie truppe a una forza internazionale di stabilizzazione. Non si tratta di un’ipotesi remota: l’Italia, con la sua lunga esperienza in missioni di pace, è uno dei Paesi europei più attrezzati a guidare una fase delicatissima come quella del dopoguerra nella Striscia.

Mandato ONU o coalizione di volenterosi

Al momento, il nodo principale riguarda la natura giuridica della missione. L’opzione preferita da Roma resta quella di un mandato delle Nazioni Unite, che garantirebbe legittimità e una cornice multilaterale. Tuttavia, se i tempi dell’ONU dovessero rivelarsi lunghi o complessi, si valuta anche la formula di una coalizione di Paesi volenterosi, eventualmente coordinata da Washington e con la partecipazione attiva dei Paesi arabi moderati. In entrambi i casi, l’Italia è considerata un partner di primo piano: l’esperienza maturata in Libano, Kosovo e Afghanistan la rende un interlocutore credibile e già operativo sul piano logistico e militare.

La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha salutato l’accordo di pace come una “notizia storica” e ha confermato che l’Italia “sarà in prima linea nella ricostruzione e nella sicurezza”. Anche il ministro della Difesa Guido Crosetto ha espresso disponibilità a contribuire alla missione, sottolineando che le Forze Armate italiane sono “pronte a fare la loro parte per rendere concreta la pace”. Sul piano diplomatico, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha chiarito che ogni dispiegamento dovrà avvenire in un quadro concordato con i partner occidentali e arabi, preferibilmente sotto egida ONU. La priorità, per Roma, è che la transizione verso la normalità avvenga con il coinvolgimento dell’Autorità Nazionale Palestinese e non di milizie o gruppi non statuali.

Quali reparti italiani potrebbero partire

In termini tecnici, si tratta di individuare i reparti più adatti a un contesto urbano e fragile come Gaza. L’Italia potrebbe schierare un contingente misto, bilanciato tra sicurezza, cooperazione civile e aiuto umanitario.

L’ossatura militare verrebbe probabilmente affidata a unità di fanteria leggera, come la brigata paracadutisti Folgore o gli alpini della Julia, già impiegati in missioni ONU. A loro si aggiungerebbero gli specialisti del genio militare, chiamati a bonificare aree minate e a riaprire infrastrutture distrutte, e i team del Multinational CIMIC Group, esperti nel coordinamento con autorità civili e ONG per la ricostruzione dei servizi essenziali.

Fondamentale sarebbe anche il contributo dell’Arma dei Carabinieri, che potrebbe assumere il compito di formare la nuova polizia palestinese e garantire ordine pubblico nei centri abitati. L’Italia è riconosciuta a livello internazionale come leader nel modello di “polizia di stabilità” e già oggi istruisce agenti palestinesi a Gerico e presso il valico di Rafah. Si tratterebbe, quindi, di un’estensione naturale di attività già avviate sul campo.

Sanità e logistica, il cuore operativo

Una parte del contingente italiano avrebbe compiti sanitari. L’ipotesi è di allestire ospedali da campo con personale medico militare e supporto tecnico della Marina e dell’Aeronautica. La crisi umanitaria e la distruzione del sistema sanitario di Gaza rendono infatti prioritaria una presenza immediata di medici e infermieri militari. Parallelamente, la catena logistica sarebbe garantita dal Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI), con mezzi di trasporto aereo C-130J e unità navali pronte a operare nel Mediterraneo orientale come piattaforme di rifornimento e supporto.

Il modello a cui l’Italia si ispira è quello di UNIFIL in Libano, dove il nostro Paese ha comandato per anni la missione ONU e gestito la sicurezza del sud del Paese attraverso un approccio basato su consenso e cooperazione con la popolazione. Lo stesso equilibrio è stato applicato in Kosovo, con i Carabinieri della Multinational Specialized Unit capaci di unire competenze militari e di polizia. In Afghanistan, infine, l’Italia ha mostrato come un intervento militare possa trasformarsi in un’azione di ricostruzione civile, con scuole, ospedali e infrastrutture realizzate dai nostri reparti del genio.

Per il governo italiano, partecipare alla stabilizzazione di Gaza non significa solo contribuire alla pace in Medio Oriente, ma riaffermare il ruolo dell’Italia come potenza di sicurezza europea nel Mediterraneo. È un segnale politico, prima ancora che militare: dopo mesi in cui l’Europa è rimasta ai margini del processo di pace, Roma punta a esserci, con i suoi uomini, i suoi mezzi e la sua credibilità. Una presenza che confermerebbe il principio che la pace, da sola, non basta: va difesa, costruita e presidiata.

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