
Ufficiale: il premio Nobel per la Pace è stato assegnato a Maria Corina Machado. Donald Trump, sconfitto, non ha risparmiato critiche al comitato norvegese, accusandolo di anteporre la politica alla pace. Ma è davvero così deluso?
Alla retorica trumpiana siamo ormai abituati, e molti analisti sanno che per comprendere davvero le posizioni del Tycoon bisogna guardare oltre le sue parole. Le analogie tra la leader venezuelana e il 47° presidente degli Stati Uniti, in effetti, non mancano.
Il caos sembra avvolgere tanto Washington quanto Caracas: da un lato una confusione internazionale segnata da decine di conflitti, dall’altro una crisi interna violenta e drammatica. Anche gli strumenti e i modi di fare politica sono simili: entrambi sono orgogliosi delle proprie idee e del modo in cui le difendono, i loro discorsi non sono moderati e non nascondono che, “in extrema ratio”, sono pronti ad agire con la forza. E infine, entrambi affermano di avere lo stesso obiettivo: riportare equilibrio e armonia dove oggi regna la confusione.
La pace viene dopo la guerra
Anche durante il suo primo mandato, Donald Trump non ha mai smesso di criticare con ferocia il governo di Nicolás Maduro, accusato di essere complice e artefice di una rete criminale: il Cartel de los Soles.
Il Venezuela è un Paese che da anni convive con una crisi devastante. Dal 2013 i suoi abitanti affrontano una profonda depressione economica, la carenza di beni essenziali e medicinali e un aumento della disoccupazione. Agli occhi di Maria Corina Machado e di Donald Trump, il governo non fa abbastanza — anzi, ne è complice.
Il tasso di disoccupazione è cresciuto a causa della chiusura di molte aziende private, costrette a fermarsi dopo gli interventi del governo e della banca centrale sulla politica monetaria, che hanno portato a un’iperinflazione del 175%. La moneta, il bolívar, è ormai carta straccia.
La povertà, da sempre, è il terreno più fertile per la criminalità organizzata. Dove la gente non riesce a comprarsi le medicine e deve portare uno zaino pieno di banconote per fare la spesa, i cartelli diventano il nuovo mercato, dove tutto costa meno. Le bande si arricchiscono e si trasformano nello “Stato della povertà”: un potere parallelo che tratta con il governo e si infiltra nelle decisioni, corrompendo ogni apparato.
Venezuela a stelle e strisce
I discorsi di Maria Corina Machado sembrano impregnati della retorica statunitense di cui Donald Trump è tornato a farsi portavoce. Ogni parola dell’ex deputata dell’Assemblea nazionale venezuelana è una denuncia al chavismo, un’ideologia che da quasi mezzo secolo costituisce la radice del socialismo venezuelano.
Il suo fondatore, Hugo Chávez, presidente carismatico e controverso, portò il Paese a essere un membro centrale dei “non allineati”, con discorsi duri contro la Casa Bianca. La sua eredità fu raccolta nel 2013 da Nicolás Maduro, figura molto meno carismatica, che non è mai riuscita a mascherare la reale natura dell’esperimento socialista, basato quasi esclusivamente sull’estrazione del petrolio.
È tra queste due figure politiche che la Machado si ritaglia un ruolo da protagonista. Esposta contro entrambi i governi, guarda verso Washington in cerca di aiuto. Così la sua lotta si tinge a stelle e strisce. Le sue campagne a favore di un capitalismo popolare affondano le radici nella tradizione statunitense, così come le battaglie per la privatizzazione delle compagnie petrolifere, inclusa la PDVSA, che domina un settore in cui il Venezuela resta tra i principali esportatori mondiali.
Il sogno di Maria Corina Machado è quello di riportare il Venezuela a essere un Paese ricco, di nuovo protagonista dell’economia sudamericana, come dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta. La destra venezuelana sogna un Paese “grande di nuovo”, e infatti si definisce ironicamente “MAGAzuelani”. Le somiglianze con Trump, quindi, non sono casuali: il suo “Make America Great Again” mira a riordinare quella crisi interna ed esterna che anche gli Stati Uniti oggi stanno affrontando.
Per la Machado, il ritorno alla democrazia e ai diritti civili di un popolo stremato sono obiettivi non negoziabili. Ed è in questo frangente che il tono del Tycoon e quello della nuova Nobel per la Pace si incontrano nell’“extrema ratio” di un possibile intervento militare made in U.S.A., che per molti appare meno retorico di quanto sembri.
Il Nobel alla politica
Le somiglianze, abbiamo visto, sono molteplici. È proprio in questa miscela di orgoglio nazionale e retorica anti-establishment che Maria Corina Machado e Donald Trump trovano la loro compatibilità.
Trump è certamente deluso per aver mancato il premio, ma andando oltre le sue parole sembra che, alla fine, il Nobel sia stato assegnato a chi, in piccolo, è promotore della sua stessa politica.