
Ci sono voci che, nel pieno del clamore mediatico, si alzano per mettere in discussione anche ciò che sembrerebbe un passo verso la tregua. Voci che sfidano la narrazione prevalente, denunciando limiti, omissioni e squilibri nei piani internazionali presentati come risolutivi. È il caso di Francesca Albanese, relatrice speciale indipendente dell’ONU per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati, che è tornata a far discutere dopo una lunga intervista concessa al programma “4 di Sera”.
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Nel momento in cui la comunità internazionale sembra intravedere una via d’uscita dal conflitto in Medio Oriente, e mentre alcuni celebrano la firma del piano di pace di Trump, Albanese non fa sconti a nessuno. Né al presidente americano, né al premier israeliano Benjamin Netanyahu, entrambi artefici del recente accordo. E lo fa con parole forti, che hanno suscitato una reazione immediata da parte del mondo politico italiano.
Trump, Netanyahu e il piano che non convince
Secondo Francesca Albanese, il piano di pace sostenuto dagli Stati Uniti e da Israele rappresenta un grave passo falso sotto il profilo giuridico e morale. Nonostante i risultati immediati del piano – tra cui il cessate il fuoco, il ritiro delle truppe da Gaza e la liberazione dei primi sette ostaggi – la relatrice ONU boccia senza mezzi termini la proposta.
“È un piano che pugnala al cuore”, ha dichiarato durante l’intervista, criticando l’impianto del progetto che, a suo avviso, ignora le reali esigenze del popolo palestinese. “Non si parla di giustizia, ma solo di ricostruzione”, ha aggiunto, sottolineando come il documento sorvoli sul diritto all’autodeterminazione, un principio fondante del diritto internazionale.
L’accordo, secondo Albanese, sembra voler ricostruire Gaza sulle macerie di un genocidio, eliminando la componente politica e identitaria palestinese in favore di soluzioni tecnocratiche imposte dall’alto.

Le parole che dividono: “Ignoranza e ottusità”
Durante l’intervista, Albanese non si è limitata a esprimere dissenso sul piano, ma ha anche lanciato accuse severe contro l’informazione pubblica e parte della narrativa occidentale. “In un Paese come questo, che è abbastanza ottuso e ignorante su quella che è la resistenza dal punto di vista del diritto internazionale… c’è una ignoranza della storia e della resistenza del popolo palestinese”, ha affermato.
Parole che hanno acceso un forte dibattito politico in Italia. La relatrice ONU ha anche definito la resistenza palestinese “soprattutto pacifica, in parte armata e occasionalmente violenta”, includendo tra queste espressioni anche quanto avvenuto il 7 ottobre, definito come “violentissimo”.
La data a cui si riferisce è quella dell’attacco di Hamas, che ha segnato una delle pagine più tragiche e sanguinose dell’ultimo anno. La scelta di contestualizzarlo come parte della resistenza palestinese ha provocato reazioni indignate e accuse di relativismo politico e negazionismo morale.
La risposta di Fratelli d’Italia: “Carriera sulla tragedia”
Non si è fatta attendere la replica di Fratelli d’Italia, che ha attaccato frontalmente Francesca Albanese attraverso un post pubblicato su Facebook. Il messaggio diffuso dal partito guidato da Giorgia Meloni è lapidario: “L’arroganza e il nervosismo di chi ha capito che non potrà più costruire la propria carriera sulla tragedia del Medio Oriente”.
Una dichiarazione che sintetizza il giudizio politico sull’intera parabola della relatrice, già finita al centro di polemiche precedenti per prese di posizione giudicate squilibrate o ideologiche. L’intervista, lungi dall’appianare le tensioni, ha riaperto lo scontro tra visioni opposte del conflitto israelo-palestinese, accentuando le distanze tra chi invoca una soluzione immediata e chi, come Albanese, chiede una lettura più ampia e storica del problema.

Il 7 ottobre, tra memoria e contestazioni
Un altro punto critico affrontato da Albanese riguarda le manifestazioni pubbliche in ricordo del 7 ottobre. Secondo la relatrice ONU, il modo in cui l’Occidente interpreta quell’evento è “non corretto”, perché isolato da un contesto di oppressione e resistenza che affonda le radici in oltre 60 anni di conflitto.
Parole che continuano ad alimentare un dibattito rovente, in cui la memoria delle vittime si intreccia con la legittimazione politica e il giudizio morale. Per Francesca Albanese, l’ordine israeliano di tagliare viveri e risorse a Gaza il 9 ottobre segna l’inizio formale di un genocidio, che oggi resta ancora da accertare e documentare pienamente.