
Il 14 ottobre 1944: un suicidio imposto
Il 14 ottobre 1944, in una Germania ormai prossima al crollo, il feldmaresciallo Erwin Rommel, tra i più noti comandanti dell’esercito tedesco, si tolse la vita. Due ufficiali giunsero alla sua abitazione di Herrlingen per ordine diretto di Hitler. Gli consegnarono una capsula di cianuro e gli esposero un ultimatum: morire in silenzio o affrontare un processo per tradimento che avrebbe coinvolto anche la sua famiglia. Rommel scelse la prima opzione. Poco dopo, all’interno di un’automobile che lo stava conducendo verso Ulm, ingerì il veleno. La decisione del regime nazista maturò in seguito all’attentato del 20 luglio 1944 contro Hitler, organizzato da un gruppo di ufficiali della Wehrmacht guidati da Claus von Stauffenberg. Rommel non partecipò direttamente alla cospirazione, ma alcuni indizi e testimonianze lo collegavano ai cospiratori. In un contesto dominato dal sospetto e dalla repressione, fu sufficiente per condannarlo. Il Führer, temendo le conseguenze di un processo pubblico contro uno dei generali più popolari, optò per una “soluzione discreta”: la morte mascherata da suicidio.

La casa editrice L’Universale ti offre oggi la possibilità di pubblicare la tua tesi, il tuo saggio o il tuo romanzo al prezzo più basso sul mercato: 80 € per le tesi discusse entro 24 mesi; 180 € per i libri di saggistica e 250 € per i romanzi. Per informazioni visita il nostro sito www.luniversaleditore.it e scrivici all’indirizzo email [email protected] o al numero WhatsApp 350 031 4196
Un generale del regime
Erwin Rommel era entrato nella leggenda durante la campagna d’Africa, dove aveva guidato l’Afrika Korps tra il 1941 e il 1943. Le sue manovre rapide e audaci gli valsero il soprannome di “Volpe del Deserto” e un’ampia notorietà, sfruttata dalla propaganda nazista come simbolo di coraggio e abilità militare. Rommel divenne così una figura utile per il regime, un eroe da esibire alle masse mentre la guerra volgeva al peggio. La sua fama, tuttavia, si fondava su un paradosso: mentre godeva della fiducia di Hitler e di una vasta popolarità, cominciava a nutrire dubbi sulla strategia e sulla leadership del dittatore. Non era un oppositore politico, né un cospiratore nel senso stretto del termine. Era un ufficiale professionista che, di fronte al disastro imminente, aveva cercato, senza successo, di suggerire un negoziato o una resa. Queste posizioni, in un regime totalitario, bastarono a renderlo sospetto.
La verità dopo la sconfitta
Dopo la morte di Rommel, la macchina della propaganda si mise in moto. I giornali annunciarono che il feldmaresciallo era deceduto per le ferite riportate in un precedente attacco aereo. Hitler inviò alla vedova un messaggio di cordoglio e un funerale di Stato, nel tentativo di preservare l’immagine di un eroe fedele al Reich. Solo dopo la fine della guerra la verità emerse: Rommel era stato costretto al suicidio. Il suo nome rimase legato a un’immagine controversa. Per alcuni, rappresentò un soldato leale che, pur senza ribellarsi apertamente, rifiutò di piegarsi fino alla fine. Per altri, fu un ingranaggio dell’apparato militare nazista, responsabile, seppur indirettamente, della prosecuzione di una guerra di aggressione. La sua vicenda mostra quanto fragile possa essere la linea che separa l’obbedienza dall’acquiescenza e quanto rapidamente un eroe di regime possa trasformarsi in un nemico interno. Così si concluse la parabola di Erwin Rommel: un uomo che la propaganda volle mito, che la disfatta rese sospetto, e che la Storia continua a giudicare con prudenza, senza assoluzioni né condanne definitive.