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Carabinieri morti durante lo sgombero, il dramma ci aiuta a riflettere: perché proteggere la prima casa è urgente

Pubblicato: 14/10/2025 16:18

La morte di tre servitori dello Stato durante uno sgombero in Veneto ci ha strappato il respiro e imposto una verità semplice e terribile: la forza e la legge non escludono il dolore, né cancellano la necessità di risposte umane e politiche.

Vorrei partire da qui, dal lutto e dal rispetto per chi ha perso la vita nell’adempimento del dovere, per sostenere però con la stessa fermezza un principio che ritengo irrinunciabile: la prima casa è sacra e la sua inviolabilità deve essere uno dei cardini di una società civile. Difendere questo principio non significa legittimare atti criminali o giustificare la violenza, significa piuttosto costruire meccanismi che prevengano la disperazione fino al punto che qualcuno pensi di mettere in pericolo vite umane pur di non cedere la propria abitazione.

Perché la prima casa è sacra

La casa non è solo un bene materiale: è radice, dignità, memoria. È il luogo dove si cresce, si cura, si lavora e si ama. Per molte famiglie la perdita della prima abitazione significa la perdita di ogni punto di riferimento. Quando una collettività decide che la prima casa ha un valore speciale, riconosce che la convivenza civile include la responsabilità di proteggere la stabilità domestica dei suoi membri più fragili. Difendere la prima casa significa prevenire sfaldamenti sociali che si pagano a caro prezzo: marginalità, povertà cronica, emarginazione. È una scelta di civiltà, non un alibi per chi abusa o evade.

Il dovere dello Stato e la giustizia per le vittime

Il rispetto per la casa non può mai trasformarsi in giustificazione per atti che mettono a rischio vite altrui. Quando un carabiniere, un poliziotto o un vigile perde la vita mentre svolge il proprio lavoro, la Repubblica deve pretendere verità e giustizia. Allo stesso tempo lo Stato ha il dovere di agire in modo tale che gli sgomberi e le misure esecutive siano l’extrema ratio e non l’unica opzione praticabile. La responsabilità è duplice: punire chi commette reati e al contempo ripensare prassi e protocolli perché non si arrivi mai più a drammi che si potevano evitare. Proteggere la prima casa non è un conflitto con la tutela della legalità: è, se fatto con criterio, un rafforzamento della dignità che rende la legge più giusta e, paradossalmente, le forze dell’ordine più sicure.

Proposte concrete per tutelare la prima casa

Occorre passare dalle parole alle misure concrete. La prima proposta è quella di dotare la prima casa di una tutela costituzionale o legislativa chiara: limitare pignoramenti, esecuzioni e sgomberi finché non esistano soluzioni abitative alternative efficaci. Non si tratta di immunità indefinita, ma di una protezione che obbliga l’azione pubblica a trovare prima un rimedio reale.

Va creato un fondo pubblico di intervento emergenziale: un “salva-prima casa” che possa coprire temporaneamente debiti o morosità dando tempo e strumenti per ricostruire la stabilità economica della famiglia. Questo strumento non è assistenzialismo indifferenziato, ma investimento sociale: costa meno rispetto a gestire le conseguenze di famiglie senza casa e limita l’insorgere di tensioni che possono degenerare.

La mediazione obbligatoria prima di ogni esecuzione sulla prima casa deve diventare norma. Prima di procedere con la forza, l’intervento di una commissione composta da istituzioni locali, servizi sociali e rappresentanti delle forze dell’ordine dovrebbe esplorare tutte le soluzioni alternative possibili. La mediazione non è perdita di tempo; è prevenzione concreta del conflitto.

È indispensabile sospendere o limitare i pignoramenti per la prima casa per debiti di entità contenuta e prevedere soglie oltre le quali scatta la procedura, garantendo comunque un percorso di risarcimento che non lasci la famiglia senza tetto. Parallelamente, bisogna investire in edilizia popolare e in forme di mutuo sociale, strumenti che permettano a chi è in difficoltà di non essere condannato, per colpe economiche temporanee, alla perdita dell’abitazione.

Come finanziare e rendere sostenibili le soluzioni

Qualsiasi proposta richiede risorse e scelte di priorità politica. Il finanziamento può arrivare da più fonti: riqualificazione del patrimonio immobiliare pubblico e sua riconversione in alloggi sociali, riallocazione di fondi europei destinati all’inclusione sociale, e una parte di fiscalità mirata a sostenere il fondo di emergenza. Ma la vera sostenibilità viene dalla progettazione intelligente: intervenire prima che si accumulino morosità ingovernabili è molto meno costoso che gestire sfratti, emergenze abitative e le loro conseguenze sociali. È un investimento che ripaga in termini di coesione e ordine pubblico.

Una cultura della prevenzione e del rispetto reciproco

Le misure legislative e i fondi non bastano se non cambiamo la cultura che circonda la casa e la povertà. Occorre incentivare la rete territoriale dei servizi sociali, potenziare i servizi di mediazione debitoria, formare gli operatori delle forze dell’ordine a gestire situazioni di fragilità con protocolli che coniughino sicurezza e umanità. Contemporaneamente bisogna contrastare la narrazione pubblica che strumentalizza le storie individuali: chi sfrutta la disperazione per amplificare indignazione sterile fa un danno alla convivenza. La casa può essere sacra senza diventare pretesto per violenza; lo Stato può essere fermo senza essere insensibile.

La responsabilità politica e la partecipazione civica

Difendere la prima casa richiede scelte politiche decisive. Non è sufficiente il buon cuore dei singoli amministratori: servono norme nazionali e piani coordinati con i Comuni. Serve inoltre uno scatto di responsabilità da parte di partiti, sindacati, associazioni e cittadini. La partecipazione civica — attraverso forme di aiuto, solidarietà e intervento preventivo — è parte della soluzione. Quando la comunità si prende carico delle proprie fragilità, la pressione sul sistema diminuisce e il ricorso alla forza pubblica si trasforma in ultima ratio, non in automatismo.

In conclusione, il dolore per i carabinieri caduti è autentico e merita giustizia. Ma la giustizia non si esaurisce in una condanna penale; richiede anche riforme che impediscano il ripetersi di tragedie nate dalla disperazione. Proteggere la prima casa non significa tutelare i furbi, significa difendere la dignità di chi vive in condizioni precarie e al contempo rendere più sicuri gli interventi dello Stato. È possibile conciliare sicurezza e pietas, legalità e umanità. Chi governa e chi decide deve scegliere da quale parte stare: stiamo dalla parte di una Repubblica che non lascia nessuno senza tetto e che, quando necessario, punisce chi commette crimini, oppure accettiamo che l’assenza di politiche adeguate continui a trasformare la casa nel luogo del conflitto estremo? Io credo che la risposta debba essere una sola e netta: la prima casa va protetta, con intelligenza, con risorse e con rispetto per la vita di tutti.

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