
L’educazione sessuo-affettiva nelle scuole italiane fa un passo indietro. Proprio nel giorno della morte di Pamela Genini, vittima dell’ennesimo femminicidio, la commissione Cultura della Camera ha approvato un emendamento al disegno di legge sul consenso informato, promosso dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che esclude ogni attività legata alla sessualità anche dalle scuole medie.
Finora il divieto riguardava solo la scuola dell’infanzia e quella primaria. Ma con la nuova norma, proposta dalla leghista Giorgia Latini, l’esclusione si estende anche alla secondaria di primo grado, cioè alle scuole frequentate da ragazzi tra gli 11 e i 14 anni.
Niente educazione sessuale fino alle superiori
In concreto, ciò significa che fino alle scuole superiori non sarà possibile, neanche con il consenso informato dei genitori, realizzare progetti sull’educazione all’affettività, sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, sulla contraccezione o sul contrasto alla violenza di genere.
Unica eccezione: i contenuti potranno essere trattati solo nell’ambito dell’educazione civica o all’interno delle nuove linee guida ministeriali, che parlano genericamente di “relazioni ed empatia”, ma non affrontano in modo diretto il tema della sessualità.
“Proteggiamo i ragazzi dagli attivisti ideologizzati”
Secondo il deputato della Lega Rossano Sasso, l’emendamento serve a «evitare che attivisti ideologizzati ed esperti esterni parlino di tematiche sessuali ai ragazzini delle medie». Per gli studenti delle scuole superiori, invece, resterà la possibilità di affrontare questi temi, ma solo previa autorizzazione scritta delle famiglie: «Il consenso informato serve a garantire che i genitori conoscano i materiali e le competenze di chi parlerà in classe», ha spiegato Sasso.
Il mondo ProVita & Famiglia ha accolto con favore la modifica: «Così si impedisce che i bambini vengano indottrinati dalle associazioni abortiste o dagli attivisti Lgbt», ha commentato Jacopo Coghe.
Le opposizioni: “Un atto gravissimo, la scuola non può censurare”
Durissime le reazioni delle opposizioni. I deputati del Partito Democratico Mauro Berruto, Sara Ferrari, Giovanna Iacono, Irene Manzi e Matteo Orfini hanno definito la decisione «un atto gravissimo» che priva i giovani del diritto di ricevere informazioni corrette da professionisti della sanità pubblica, lasciandoli in balia dei social e delle fake news.
Il leader di Più Europa, Riccardo Magi, ha sottolineato l’ironia tragica del tempismo: «Nel giorno in cui si piange una vittima di femminicidio, il governo dimostra di non voler affrontare con serietà la prevenzione. La cultura patriarcale uccide».
Dello stesso tenore la posizione del Movimento 5 Stelle: le deputate Stefania Ascari, Anna Bilotti, Alessandra Maiorino e Daniela Morfino ricordano che «la prevenzione della violenza parte dalle scuole» e che «serve educazione affettiva e sessuale per combattere gli stereotipi e le disuguaglianze di genere».
“Una deriva oscurantista”
Anche Alleanza Verdi e Sinistra ha attaccato la maggioranza, parlando di «deriva oscurantista ispirata al fondamentalismo religioso». La deputata Elisabetta Piccolotti ha denunciato che la destra è «riuscita nell’ardua impresa di peggiorare un provvedimento già arretrato, negando agli studenti e alle studentesse il diritto a un’istruzione completa e laica».
Secondo molti osservatori, la scelta del governo segna una battuta d’arresto nella prevenzione della violenza di genere e nel percorso di sensibilizzazione dei più giovani su temi cruciali come il consenso, il rispetto e la parità.
Un arretramento, dicono le opposizioni, che arriva in un Paese dove la violenza sulle donne continua a riempire le cronache, e dove la scuola – più di ogni altra istituzione – dovrebbe essere il primo luogo di educazione al rispetto reciproco.