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Il Vernacoliere, la rivista satirica di Livorno sospende le pubblicazioni dopo 65 anni

Pubblicato: 16/10/2025 11:28
addio famosissimo giornale italiano

Livorno perde una delle sue voci più iconiche: Il Vernacoliere, storico mensile di satira, annuncia la sospensione delle pubblicazioni dopo il numero di novembre. Una notizia che arriva direttamente dalla penna inconfondibile del suo fondatore e direttore Mario Cardinali, che con tono ironico e disilluso, si dice «un po’ stanchino», come Forrest Gump, e lascia intendere che non è un addio, ma piuttosto una pausa forzata, imposta dalla realtà economica e culturale del mondo dell’editoria.
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Il “giornalaccio” – come veniva affettuosamente definito dai suoi lettori – è stato per decenni l’anima dissacrante di Livorno, specchio satirico di una città che ha fatto della provocazione intelligente una forma d’arte popolare. Un pezzo di storia culturale, ma anche sociale, che oggi si ritira per mancanza di fiato, più che di coraggio.

La crisi dell’editoria affossa anche la satira

A spiegare la decisione è lo stesso Cardinali, lucido e feroce nel diagnosticare le cause della sospensione. La colpa, dice, è di una “crisi sempre più profonda della carta stampata”, stretta dalla morsa dei social media, dalla mutazione delle edicole e da un modello economico insostenibile.

«Le edicole chiudono, i giornali non si leggono più, i telefonini dettano legge, la pubblicità paga il tutto e Pantalone – cioè il lettore – finisce sempre per rimetterci», scrive. Il bilancio negativo tra costi e incassi ha colpito anche un’istituzione come il Vernacoliere, che pure aveva saputo resistere alle onde digitali meglio di tanti altri.

Una chiusura, o meglio un’accostata del portone, che arriva dopo sessantacinque anni di battaglie, processi vinti, colpi bassi ai potenti e vignette che hanno fatto scuola, non solo a Livorno ma in tutta Italia.

Una bandiera di irriverenza che non ha risparmiato nessuno

Il Vernacoliere è stato molto più di un giornale: è stato un linguaggio, un’identità, un modo di vivere e guardare il mondo. Da Maicòl alla tata Luana, passando per l’indiano Fava di Lesso, il Trojo e l’ineffabile bibliotecario, le sue pagine hanno raccontato il lato più spietatamente grottesco dell’Italia contemporanea, con un’ironia sempre sopraffina, capace di restare un passo avanti rispetto al trash.

Papi, politici, santi e peccatori: nessuno è mai stato risparmiato. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI furono protagonisti di due processi vinti, come quello celebre per il titolo «Era meglio un Papa pisano» – una provocazione che portava addosso il marchio di fabbrica del Vernacoliere: genialità e sberleffo.

E poi Silvio Berlusconi e le sue vicende sentimentali, Matteo Salvini, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, il Pd e i 5 Stelle: la satira del mensile ha infilzato tutti con lo stesso sarcasmo tagliente. Sempre da sinistra, ma mai faziosa, mai ingabbiata nella retorica.

Livorno e il Vernacoliere, un amore fatto di salmastro e parolacce

Nato nella Livorno più ruvida e popolare, il Vernacoliere ha sempre tenuto fede alle sue radici. Più livornese del ponce del Civili e del «cinque e cinque», è stato specchio e megafono di un modo di pensare libero, in cui il linguaggio colorito era espressione di verità scomode e schiettezza disarmante.

L’amore-odio per Pisa, celebrato con ironia feroce, è stato una costante narrativa. Ma dietro i dileggi, nessun vero disprezzo. Cardinali stesso, del resto, si è laureato a Pisa in scienze politiche, prima di diventare il padre di una delle testate satiriche più longeve d’Europa.

La sede del Vernacoliere, accanto al palazzo comunale di Livorno, è stata per anni una fucina di irriverenza, culla di talenti e laboratorio di libertà espressiva. Una redazione che sembrava uscita da un film di Monicelli, dove ogni parola era una coltellata al conformismo.

Principali giornali italiani

Il numero di novembre 2025 sarà dunque l’ultimo, almeno per ora. Mario Cardinali, nel suo messaggio finale, non parla di chiusura definitiva, ma di una sospensione. Un tentativo di respirare, per poi magari ripartire, se le condizioni lo permetteranno.

«Coraggio, amici e collaboratori cari», scrive, «vediamo se dopo aver ripreso fiato ce la faremo una volta ancora». E poi l’abbraccio ai lettori, a chi ha creduto in un giornale scomodo, scorretto, e per questo necessario. «Grazie per quanto finora avete fatto, nel contribuire a tenere alto il prestigio d’una storica bandiera d’irriverenza satirica».

Il Vernacoliere non muore. Si riposa. E Livorno resta lì, con il salmastro in bocca e un sorriso amaro, a sperare nel ritorno di una voce che sapeva far ridere e pensare, con la stessa, identica, dissacrante intensità.

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