
Donald Trump «sta bluffando» sulla possibilità di fornire missili Tomahawk all’Ucraina. Lo sostiene Dmitrij Suslov, vicedirettore del Centro di studi europei e internazionali presso la Scuola Superiore di Economia di Mosca, e ascoltato consigliere del Cremlino per la politica estera. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Suslov afferma che la minaccia dei missili da crociera rappresenta più una mossa di pressione che una strategia concreta.
Secondo Suslov, è «difficile immaginare» che gli Stati Uniti decidano davvero di fornire all’Ucraina i Tomahawk, data la loro natura di missili a medio raggio lanciabili solo da piattaforme navali o sottomarine, di cui Kiev non dispone. «Fino ad ora — ha ricordato — Washington non ha mai fornito questi armamenti nemmeno ai suoi alleati europei. Solo nel 2025 la Germania dovrebbe riceverli, secondo quanto deciso dall’amministrazione Biden».
Ma se Trump decidesse davvero di consegnarli, le conseguenze sarebbero significative, soprattutto sul piano politico. «Militarmente i Tomahawk non cambierebbero le sorti della guerra, ma politicamente — spiega Suslov — sarebbe un punto di rottura totale: si chiuderebbero tutti i canali di dialogo con l’Amministrazione Trump, anche quelli personali tra i due leader».

Suslov aggiunge che l’eventuale impiego di questi missili — che richiederebbero assistenza diretta da parte di personale americano — rappresenterebbe un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto. In caso di attacchi strategici su territorio russo, Mosca reagirebbe colpendo «obiettivi militari nei Paesi della Nato», dando così il via a una nuova escalation orizzontale della guerra.
Il consigliere del Cremlino fa anche riferimento al fallito accordo di pace proposto durante il vertice in Alaska. Secondo la versione russa, Putin e Trump avrebbero raggiunto un’intesa sui parametri di una possibile soluzione, ma l’ex presidente americano non sarebbe riuscito a farla accettare a europei e ucraini. «Anzi — aggiunge Suslov — Kiev ha irrigidito le sue posizioni, con il sostegno di Washington».
Sul fronte delle tensioni ibride in Europa — cyberattacchi, sconfinamenti aerei e droni — Suslov minimizza il coinvolgimento russo, affermando che «è difficile dimostrare da dove provengano davvero questi attacchi» e accusando invece gli europei di voler esasperare la situazione per forzare un cambio di passo da parte americana. «La Russia non ha interesse all’escalation — sostiene — perché sta vincendo».
Anche se l’avanzata russa è lenta, per Suslov questo è dovuto alla rivoluzione bellica imposta dai droni: ogni movimento è tracciato e subito colpito. Per questo, spiega, la strategia russa si è adattata con «avanzate circoscritte e affidate a piccoli gruppi di soldati». Secondo lui, l’Ucraina non potrà reggere a lungo questa guerra di logoramento, poiché soffre più della Russia la carenza di uomini e risorse.
Quanto agli attacchi ucraini su infrastrutture russe, Suslov li riconosce come «dannosi», ma sostiene che non siano decisivi. «In una guerra di attrito — dice — ciò che conta è logorare il nemico: e i danni che infliggiamo noi all’Ucraina sono molto più gravi». La scarsa disponibilità di truppe, secondo lui, è la vera debolezza strutturale di Kiev.
Infine, Suslov lascia aperto uno spiraglio per una tregua: «Se Trump cambiasse linea e tornasse a fare pressione su Kiev e sull’Europa anziché sulla Russia, l’accordo di Anchorage potrebbe tornare sul tavolo. Altrimenti la guerra andrà avanti finché non cambierà idea».