
È bastata una parola per scatenare l’ennesima tempesta politica. “Cortigiana”, ha detto Maurizio Landini parlando di Giorgia Meloni. Una parola che, più di mille insulti espliciti, ha il peso del disprezzo travestito da ironia, e che riporta il dibattito pubblico italiano a un livello che non ha più nulla di civile. Meloni ha reagito pubblicando su X la definizione del termine – “donna dai facili costumi, eufemismo di prostituta” – e accusando la sinistra di usare il linguaggio come arma sessista mentre finge di combatterlo.
L’episodio non è solo l’ennesimo scontro fra due avversari politici, ma il simbolo di una degenerazione del linguaggio politico ormai senza freni, dove ogni parola è pensata per ferire e nessuna per convincere. Landini, leader di un grande sindacato, non poteva non sapere che un termine del genere, usato contro una donna che ricopre la più alta carica di governo, avrebbe assunto un significato personale e sessuale. Eppure l’ha pronunciato con leggerezza, come se fosse una battuta da bar.
La politica che ha smesso di parlare
Questo episodio segna un punto di non ritorno. Perché non è una semplice gaffe, ma un atto di disprezzo simbolico che racconta un’Italia incapace di distinguere l’ironia dalla volgarità, la critica dal dileggio. Meloni ha scelto di rispondere con l’arma della precisione: una definizione di dizionario, asciutta, per mostrare quanto la parola “cortigiana” non sia un termine politico ma un insulto di genere. In un Paese che da anni discute di rispetto delle donne e di parità linguistica, il leader del più grande sindacato italiano si è concesso il lusso di una caduta che suona come un arretramento culturale.
Il segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, evidentemente obnubilato da un rancore montante (che comprendo), mi definisce in televisione una “cortigiana”.
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) October 16, 2025
Penso che tutti conoscano il significato più comune attribuito a questa parola, ma, a beneficio di chi non lo… pic.twitter.com/JS51GN7Yn9
È il paradosso della sinistra contemporanea: si presenta come custode del rispetto, ma smarrisce il limite proprio quando dovrebbe dimostrarlo. Landini voleva colpire la premier per il suo rapporto con Donald Trump, ma ha finito per colpire tutte le donne che ogni giorno subiscono quella stessa riduzione a oggetto.
Il disprezzo come ideologia
Il caso Meloni-Landini non è isolato, ma parte di una tendenza più ampia: la politica come insulto permanente, dove il confronto si riduce a provocazione, e ogni parola diventa una pietra. È un linguaggio che non cerca consenso, ma applausi immediati; non costruisce, ma incendia. Il problema non è solo etico, è democratico: quando si perde il rispetto della forma, si perde anche quello della sostanza.
Landini avrebbe potuto criticare la linea atlantista del governo, il rapporto con Washington, la politica sociale o fiscale. Ha scelto invece la scorciatoia più comoda, quella dell’offesa personale, perché ormai nel dibattito pubblico non conta più ciò che si dice, ma quanto rumore si riesce a fare. In questo, il leader della Cgil non è diverso da tanti altri protagonisti della scena politica, ma la gravità sta nel ruolo che rappresenta: un sindacato che dovrebbe difendere i diritti e la dignità dei lavoratori, non violare quella di chi non la pensa allo stesso modo.
Il tempo della responsabilità
Giorgia Meloni ha reagito con durezza, trasformando l’attacco in una lezione di coerenza. Il suo post, che accosta la definizione di “cortigiana” alla denuncia di un doppio standard della sinistra, è diventato un manifesto sulla decadenza del dibattito politico. È il segno che il potere, oggi, deve difendersi non solo dagli avversari, ma dal linguaggio stesso che li separa.
L’Italia avrebbe bisogno di un confronto serio, di idee e visioni, non di battute velenose. Eppure, ogni volta che una parola come “cortigiana” entra nella discussione pubblica, il Paese perde un frammento di credibilità. Perché un Paese che non sa più discutere senza insultare, finisce per non saper più nemmeno pensare.
Intanto, è arrivata la risposta di Landini, che replica così a Giorgia Meloni: “”Martedì sera, ospite di Giovanni Floris a ‘Di Martedì’, in un’intervista di dieci minuti, che chiunque può facilmente rivedere, rispondendo a una domanda sull’accordo di tregua in Medio Oriente, ho immediatamente chiarito, per evitare qualsiasi fraintendimento o strumentalizzazione del termine utilizzato, cosa intendevo dire: che Meloni è stata sulla scia di Trump, è stata alla corte di Trump, ha fatto il portaborse di Trump. Ho espresso, evidentemente, un giudizio politico sul mancato ruolo del nostro governo e della sua presidente del Consiglio”.