
Il Parlamento del Perù ha votato nella notte tra giovedì 9 e venerdì 10 ottobre per la destituzione della presidente Dina Boluarte, approvando con 118 voti favorevoli su 122 la mozione di impeachment per «incapacità morale permanente». Una sessione parlamentare ad alta tensione, convocata d’urgenza, ha messo fine a un mandato iniziato nel dicembre 2022, quando Boluarte era subentrata alla presidenza dopo la caduta di Pedro Castillo. La presidente, 63 anni, non si è presentata in aula, né ha nominato un avvocato per esercitare il suo diritto di difesa.
Il capo del Congresso, José Jerí, ha annunciato che la decisione sarà «comunicata immediatamente alla presidenza della Repubblica», assumendo lui stesso – secondo quanto previsto dalla Costituzione – la guida dello Stato ad interim. Si apre così un nuovo periodo di transizione per il Paese, che continua a vivere una forte instabilità istituzionale. La mancanza di una difesa ufficiale da parte di Boluarte è stata letta da molti analisti come un segno di resa politica.

Le accuse nei confronti della presidente si fondano su due fronti principali. Il primo è il “Rolexgate”, uno scandalo scoppiato dopo che Boluarte è stata vista indossare costosi orologi Rolex di cui non aveva dichiarato la provenienza. Il secondo riguarda la gestione fallimentare dell’ordine pubblico, culminata con l’attentato durante un concerto della band Agua Marina. Gli episodi hanno rafforzato l’immagine di una leadership distante e incapace di gestire la crisi interna.
Il procedimento di impeachment è stato promosso da quattro mozioni diverse, poi riunite in un’unica proposta. Partiti come Fuerza Popular di Keiko Fujimori, Alianza para el Progreso, Avanza País e Acción Popular hanno espresso pieno sostegno alla rimozione della presidente, garantendo ben oltre la soglia minima degli 87 voti necessari per far passare la mozione.
Dina Boluarte era salita al potere come prima donna presidente del Perù, ma il suo mandato è stato fragile fin dall’inizio. Le proteste popolari che hanno seguito la sua nomina hanno causato decine di morti e messo il governo in continua difficoltà. Secondo recenti sondaggi, il suo tasso di approvazione era sceso sotto il 15%, segno di un crescente distacco tra istituzioni e cittadini.

Nelle prime ore dopo la votazione, José Jerí ha prestato giuramento come presidente ad interim, assicurando di voler guidare un «governo di transizione». Nel suo discorso ha fatto appello all’unità nazionale e promesso un dialogo aperto con tutte le forze politiche. Ha inoltre affermato che verranno convocate elezioni anticipate, ma non ha fornito una data certa, suscitando dubbi e pressioni da parte dell’opinione pubblica.
La destituzione di Boluarte rappresenta l’ennesimo scossone politico per il Perù, che in soli sei anni ha visto alternarsi sei diversi presidenti. Corruzione, instabilità economica e sfiducia generalizzata stanno minando le fondamenta democratiche del Paese, sempre più polarizzato e diffidente verso le istituzioni centrali.
Nella capitale Lima e in altre città, la reazione è stata immediata: manifestazioni spontanee si sono formate sia a favore che contro la presidente uscente. Alcuni gruppi chiedono una sua riabilitazione politica, ma la maggioranza della piazza sembra orientata verso nuove elezioni e un rinnovamento completo della classe dirigente.
La caduta di Dina Boluarte lascia il Paese in una fase di incertezza. Il compito di Jerí sarà ora quello di gestire la transizione senza alimentare ulteriori tensioni, restituendo ai peruviani la speranza di un sistema politico più stabile e rappresentativo. La credibilità delle istituzioni dipenderà da quanto rapidamente e trasparentemente verrà gestito questo delicato passaggio.


