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L’endometriosi, la malattia subdola che colpisce 1 italiana su 10

Pubblicato: 31/05/2019 14:06

Intervista a cura di
MARTA PETTOLINO
MARTINE ROLLANDIN

In Italia colpisce 1 donna su 10, è subdola, poco conosciuta e inarrestabile. Stiamo parlando dell’endometriosi, una malattia che riguarda 3 milioni di donne in età fertile, per cui non c’è cura e di cui non si conosce l’origine precisa. Una sfida oscura e ostacolante quindi per i medici che la devono fronteggiare ma soprattutto per le numerosissime pazienti che devono sopportarla ogni giorno. Per poter scoprire e approfondire la “malattia che non c’è”, The Social Post ha incontrato il dottor Luca Liban Mariani, dirigente medico al Mauriziano Umberto I di Torino, specialista in Ginecologia e Ostetricia e responsabile servizio diagnosi e trattamento dell’endometriosi.

L’endometriosi, una malattia multiforme

L’endometriosi consiste nella localizzazione del tessuto endometriale, che di norma si trova all’interno dell’utero, al di fuori o comunque in posizione anomala. Ciò significa che si possono trovare accumuli di cellule endometriali in qualsiasi posizione, anche sulle anse intestinali, sulla parete del fegato, addirittura a livello polmonare“. Sembra non esserci argine quindi per una patologia che, di primo acchito, potrebbe apparire esclusivamente ginecologica. Invece no, l’endometriosi si macchia di un’equità disarmante, attacca tutti gli organi, indiscriminatamente. Per questa ragione, è facile scambiarla con altre tipologie di disturbi, partendo dal “banale” dolore mestruale, passando per coliti e intolleranze alimentari, fino al tumore all’utero.

È all’inizio del secolo scorso che risalgono i primi dati, anche se negli anni ’25-’30 viene effettivamente individuata con il suo nome. Tuttavia, la conoscenza di questa malattia è ancora affetta da gravi lacune e molti punti interrogativi. La prova? “Si calcola, in media, un ritardo diagnostico di 7-9 anni” ci rivela il dottor Mariani. Uno dei problemi principali è infatti quello di non giungere tempestivamente alla diagnosi, azzoppata da una scarsissima formazione del personale medico e da una insufficiente conoscenza della malattia. Ne è una dimostrazione il fatto che solo un anno fa l’endometriosi sia stata riconosciuta ufficialmente come patologia cronica dai LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza del Servizio sanitario nazionale. Si parla di endometriosi da quasi 90 anni, ma per lo Stato italiano esiste realmente solo da uno.

Endometriosi: (possibili) cause e (reali) effetti

Nebulose sono inoltre le teorie che tentano, da anni, di individuare le origini di questa patologia. “Alcuni sostengono che sia causata da un reflusso retrogrado di sangue mestruale attraverso le tube, che trasporta queste cellule endometriali all’interno della cavità pelvica, altri imputano la causa alla metaplasia, ovvero la trasformazione delle cellule della cavità pelvica in endometriali“.

Un dato sconcertante è che l’endometriosi pare essere, a tutti gli effetti, una malattia dei Paesi industrializzati. Nord Europa, America del Nord e Canada sembrano essere i bacini prediletti per questa patologia mentre in Asia, America del Sud, Africa l’incidenza è notevolmente inferiore. “Con tutta probabilità, la causa è multifattoriale” tira le somme Mariani, individuando le fonti in un mix esplosivo di fattori ambientali, di alimentazione, di predisposizione genetica. “L’endometriosi ha la tendenza all’aggregazione famigliare. È già capitato di vedere mamme e figlie, nonne e nipoti, sorelle, tutte affette dalla stessa malattia“.

Uno degli opuscoli informativi sul regime alimentare consigliato

È inoltre difficile scoprire di avere l’endometriosi. Molte donne ne vengono a conoscenza quando cercano di avere dei figli. “Non viene letteralmente vista durante le visite ginecologiche di controllo, servono le ecografie transvaginali di secondo livello e anche una formazione e una specializzazione adeguata da parte del personale per riconoscerne la presenza“. Infatti, una delle conseguenze più devastanti è l’impossibilità di avere figli e a volte anche quella di avere rapporti sessuali soddisfacenti per i dolori lancinanti. Dolore che, in genere, rappresenta il sintomo cardine. Un dolore che, ovviamente, è soggettivo e varia da un caso all’altro. “Ci sono pazienti che soffrono tantissimo e hanno uno stadio lieve della malattia, mentre altre molto più gravi, alle quali vengono magari effettuate resezioni intestinali, asportazioni di ovaie o dell’intero utero, che non manifestavano la classica sintomatologia dolorosa“.

Anche per questi motivi, la classificazione dell’endometriosi è particolarmente complicata. “Fino a qualche tempo fa, in caso di endometriosi si portava la paziente in sala operatoria. Al giorno d’oggi, solo in casi estremi si opera, mentre si predilige la terapia farmacologica“. Essendo la mestruazione la causa principale del dolore e dell’aggravamento della malattia (a ogni ciclo, la produzione delle cellule endometriali si moltiplica), è dunque proprio la pillola (che, tra l’altro, riduce del 50% carcinoma dell’ovaio) a tenere sotto controllo i sintomi ma, attenzione, non il suo decorso. Non solo. In alcuni casi, vengono anche prescritti integratori coadiuvanti e analoghi iniettivi che mandano per direttissima la donna in menopausa (ma solo se si tratta di donne in età fertile e per non più di 6 mesi, poiché interverrebbero il rischio di osteoporosi, infarti, ictus, Alzheimer, per non parlare dell’influenza sulla psiche).

La campagna pubblicitaria promossa per il mese della consapevolezza dell’endometriosi. In alto, si legge: “Solo perché non lo vedi, non significa che non esiste!“. In basso: “Se l’endometriosi fosse visibile apparirebbe così

Di endometriosi si guarisce?

Con l’arrivo della menopausa, la paziente riscontra di certo un miglioramento“. Tuttavia possono presentarsi e restare ancora fastidi, dolori, magari a livello intestinale. Ciò che sta migliorando a vista d’occhio, di sicuro, è la maggiore consapevolezza delle donne. Oggi la “lotta rosa” si manifesta in modo sempre più convinto e bisogna ringraziare la forza e la pressione sociale delle pazienti e degli operatori che se ne sono interessati. Anche per quanto riguardo l’assistenza psicologica che, ad esempio, nell’ambulatorio del Mauriziano di Torino viene fornita e consigliata.

Le donne sanno ormai di avere il diritto di non soffrire senza giustificazioni, di avere una vita sessuale soddisfacente, di avere, insomma, il diritto di stare bene. “C’è tuttavia ancora tanto da fare, partendo dalla ricerca e dalla nascita e finanziamento di nuovi centri specializzati. Ciò che consiglio alle donne è di chiedere, fare domande, informarsi, senza provare paura o imbarazzo. Nessuna domanda è stupida, dobbiamo tutti imparare e le lezioni più importanti e illuminanti le ho avute proprio dalle mie pazienti“.

Quelle stesse pazienti, però, dalle quali Mariani ha tratto lezioni, sono le stesse a cui lui ha dovuto comunicare diagnosi strazianti, quadri clinici devastanti, prospettive irreversibili. E non ci sono parole che descrivano la tristezza, la frustrazione, l’impotenza del tono di voce di un medico che racconta la sua lotta contro la “malattia che non c’è”. Solo i suoi occhi, che si distolgono dai nostri, al ricordo di tutti quei nomi, quei volti, quelle pance che lottano con lui.