Era il 29 gennaio del 2018 quando Pamela Mastropietro, allora 18enne, venne brutalmente uccisa, fatta a pezzi e nascosta all’interno di un trolley a Pollenza. Il 13 febbraio scorso ha avuto inizio il processo a porte aperte ad Innocent Oseghale, l’unico accusato per il suo omicidio. Tra i testimoni pronti a deporre contro Oseghale c’è anche il pentito di mafia, Vincenzo Marino che ora però teme per la vita della moglie a cui sono state rivolte minacce di morte.
Processo a Innocent Oseghale: il supertestimone in pericolo
Vincenzo Marino è un ex pentito di ‘ndrangheta. Perché mai Marino possa essere il supertestimone nel processo sulla morte della 18enne Pamela Mastropietro?
È molto semplice e lo ha spiegato, per lui, il suo avvocato Maria Claudia Conidi. L’uomo, per breve tempo – come racconta AdnKronos – si trovò nel medesimo carcere in cui era stato trasferito Innocent Oseghale. In quelle occasioni, nel breve tempo di convivenza, Oseghale avrebbe rilasciato delle informazioni importanti parlando in maniera poco sorvegliata al compagno in carcere proprio dell’omicidio di cui è accusato. Informazioni che rendono ora Marino un supertestimone in ambito dell’inchiesta sulla morte di Pamela.

Innocent Oseghale, accusato di aver ucciso Pamela Mastropietro
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Minacce di morte alla moglie di Marino
Il 6 marzo prossimo proprio Marino avrebbe dovuto presenziare in aula per deporre contro Oseghale, rilasciando quanto da lui confessato tra le celle. La sua presenza in aula però rischia ora di saltare, proprio come l’avvocatessa ha specificato ad AdnKronos. Sembra infatti che l’uomo abbia subito forti minacce dall’esterno, rivolte soprattutto alla sua famiglia. Come racconta Conidi: “La moglie è già stata oggetto di minacce, le è stata fatta recapitare una bambolina con la testa tagliata e la scritta ‘Fate questa fine’”.

Pamela Mastropietro
Una minaccia che intimorisce Marino, attualmente fuori dal programma di protezione nonostante sia forte la sua volontà di collaborare con la giustizia: “Ci furono denunce a suo carico per evasione e minacce – spiega l’avvocato – Finite nel tempo con assoluzione e archiviazioni. Basta una qualsiasi denuncia e dopo 15 giorni gli viene revocata la protezione – aggiunge sempre il legate, facendo riferimento ai collaboratori di giustizia in generale – Ma questa è un’ingiustizia enorme, perché spesso si tratta di denunce pretestuose“.
Nonostante la richiesta dell’avvocato, la Procura della Dda di Catanzaro ancora non ha risposto.