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Coronavirus, lo studio: il virus potrebbe attenuarsi con il caldo

Pubblicato: 27/04/2020 18:16

Nicola Scafetta, professore associato dell’Università Federico II di Napoli, ha pubblicato uno studio attinente la diffusione del contagio di Sars-CoV-2 (link per scaricare il pdf dello studio) che mette in correlazione la temperatura dell’aria, l’umidità ambientale e la capacità del virus di diffondersi. Producendo delle cartine isometriche, Scafetta ha mostrato come le principali città in cui il contagio da coronavirus ha raggiunto cifre più drammatiche (ad esempio Wuhan, New York, Madrid e Milano) si trovano in una fascia di temperatura situata tra i 4 e i 12 gradi e un’umidità tra il 60 e l’80%. The Social Post ha parlato con il Professor Scafetta, per capire quali conclusioni si possono trarre dai suoi studi, e come queste possano eventualmente aiutarci a gestire la pandemia a livello mondiale.

Le cartine isotermiche: cosa mostrano

Professore, come funzionano le cartine isotermiche?

Sono cartine dove vengono evidenziate le regioni della terra che hanno delle specifiche temperature. Se prendo una fascia di temperatura, ad esempio quella tra i 4 e i 12 gradi, la cartina evidenzia con un colore le zone in cui si presenta quella temperatura.

Oltre questa gradazione il virus sopravvive ma è più fragile o tende proprio a morire?

Morire, no: il virus sopravvive tranquillamente all’interno del corpo umano ad una temperatura di circa 37 gradi, e non muore quindi semplicemente perché fa caldo. Ha però difficoltà a trasmettersi da persona a persona se le condizioni meteo non sono ideali a permettere la trasmissione stessa del virus.

cartina isotermica che mostra il clima nelle varie regioni a marzo
cartina isotermica che mostra il clima nelle varie regioni a marzo (da: www.meteo.unina.it)

La trasmissione aerea: l’incubo “droplets”

Come si trasferisce il virus da persona a persona?

Quando una persona infetta respira, emette con la tosse o con il semplice respiro dell’aria umida, calda, che quando incontra l’aria fredda nell’ambiente, si condensa e forma delle microgoccioline d’acqua liquida di anche 5 micron di grandezza (le cosiddette “droplets”, ndr), che rimangono sospese in aria. Se io sono infetto emetto queste goccioline, che contengono il virus e rimangono fluttuanti nell’aria e possono essere respirate da altre persone che, in questo modo, si ammalano.

Se l’aria è troppo calda le goccioline evaporano oppure non si formano, perché non sussiste differenza tra l’aria interna dei polmoni (calda) e quella dell’ambiente esterno. Se la goccia evapora istantaneamente il virus si “secca” nell’aria e quindi non sopravvive, perché non è più protetto dalla pellicola d’umidità.

E qual è invece il ruolo dell’umidità?

Se l’aria ha un’umidità media, tra il 60 e l’80%, la gocciolina rimane per più tempo. Se l’aria è più secca, la gocciolina evapora, mentre se l’umidità è molto alta, diventa più pesante e tende a non fluttuare, tende ad ingrandirsi assorbendo vapore acqueo nell’aria e quindi cade sulle superfici.

Il caldo ha anche un ruolo d’azione “indiretto” sul virus. Se fa freddo, la gente tende a rimanere in ambienti chiusi: quindi l’aria non circola e se c’è un infetto, diventa più facile per una persona sana respirare una particella infetta.

Quindi, nel momento in cui si allentassero le misure di contenimento ma al contempo si alzassero le temperature, la situazione dovrebbe stabilizzarsi comunque?

Penso che con il caldo diventi meno rischioso stare a contatto tra persone: se le misure vengono rallentate gradualmente, poi con il caldo le temperature dovrebbero salire abbastanza da rendere la situazione più sicura. Dopodiché, non è che il virus muore: si può essere infettati anche con il clima caldo. Quello che sostengo è che nei paesi caldi le infezioni sono poche, e anche il rapporto tra contagiati e morti è minore.

Inoltre, quando fa più caldo l’organismo è più forte, anche perché produciamo più vitamina B grazie al sole, il sistema immunitario si rafforza e questo aiuta a combattere il virus.

È possibile che ci sia un legame tra i fattori di cui abbiamo parlato e la densità di popolazione?

È chiaro che la densità di popolazione favorisce la vicinanza delle persone tra di loro, però diciamo che parlare di densità è relativo. Il virus può trasferirsi da una persona all’altra se due persone stanno in ambienti chiusi e piccoli o passano vicino tra di loro. Ad esempio a New Orleans, benché sia un posto caldo, c’è stato un numero di infetti anomalo e si pensa che sia perché c’è stato il carnevale storico, che attira ogni anno 1 milione e mezzo di persone.

Lei dice che, dato quello che si è scoperto, possiamo prevedere quali saranno i Paesi che vivranno prossimamente un aggravamento della situazione?

Sì, è utile saperlo perché uno si prepara: se so che la situazione peggiora sotto determinate condizioni meteo che di fatto, più o meno, si possono prevedere, allora posso individuare le regioni del mondo che di volta in volta hanno dette specifiche caratteristiche di “rischio”, e sapendolo prima mi posso preparare e chiedere alla gente di uscire con le mascherine lavarsi più spesso le mani, limitare le visite alle persone anziane e così via.

Quindi occorre lavorare sulla prevenzione?

Eh sì perché è vero che il virus è mortale e pericoloso ma se stiamo tutti chiusi in casa, le industrie si fermano, allora la gente non muore di virus ma inizia a morire di fame. Bisogna trovare un punto di equilibrio che sia accettabile.

Professore, qual è il grado di certezza su queste analisi?

Io spero di essere nel giusto, i conti sembrano tornare: ho studiato tutto il mondo, non solo l’Italia, e sembra che le cose tornino abbastanza.

Però è pur sempre un’ipotesi, è qualcosa che si sta sviluppando ora, di fatto non sappiamo cosa succederà in estate.

Nel fare questo studio ha analizzato altri fattori? Come le politiche attuate o la struttura sanitaria in essere in un paese, per esempio?

Lo studio si è focalizzato sugli aspetti meteo. Ora è ovvio che se io riduco la scala e voglio capire cosa sta succedendo in una particolare nazione o in uno specifico posto, allora dovrò andare a studiare anche gli altri parametri. Quando invece si fanno studi su scala geografica planetaria, le scelte politiche tendono a “filtrarsi” tra di loro: appena si va più sul generale rimane un segnale macroscopico, che è il segnale metereologico.

Cosa ne pensano i virologi

La comunità medico-scientifica, d’altra parte, ha dato il via ad un acceso dibattito su un possibile legame tra clima e caldo. Alcuni esperti sconsigliano di puntare troppo sulla possibilità che il virus scompaia con l’estate: tra questi Ilaria Capua, che consiglia di parlare con grande prudenza. La virologa ha infatti dichiarato al Corriere della Sera: “Noi questo virus lo conosciamo da poco, è in Italia da metà febbraio quindi sì e no da due mesi. Sono tante, tantissime le cose che non sappiamo e su cui molti si interrogano e purtroppo la scienza ha tempi lunghi, lunghissimi per arrivare alle sue certezze relative. Un mare di incertezza ci avvolge e ci disorienta”.

Tarro: “Il caldo porterà via il virus”

Di altro parere è ad esempio il virologo Luigi Tarro, che in un’intervista ad Affari Italiani ha dichiarato: “il Covid 19 potrebbe sparire completamente come la prima SARS, ricomparire come la MERS, ma in maniera localizzata o cosa più probabile diventare stagionale come l’aviaria. Per questo serve una cura più che un vaccino. Sono positivo per il prossimo futuro, il caldo si porterà via il virus. Basti pensare alle latitudini africane, qui il virus non prende piede. Ci sono solo piccole endemie qua e là”.

Oltretutto, la correlazione tra diffusione del virus e clima era stata studiata già a marzo dal Mit di Boston, che ha prodotto un’analisi sui dati raccolti dalla Johns Hopkins University. Anche in quel caso, si era concluso che la situazione sembrava inasprirsi quando le temperature erano tra i 3 ed i 13 gradi, ma che comunque non tendeva a scomparire completamente con temperature più rigide o, al contrario, più calde. Si tratta comunque di studi che non sono stati confermati e che non prendono in considerazione molti dei fattori che sono in gioco nella lotta alla pandemia in questo momento: le risposte più o meno celeri a livello governativo, una giusta efficienza del settore sanitario, la risposta della cittadinanza alle disposizioni di contenimento sociale e così via. Per ora, in attesa di un vaccino sul quale non abbiamo ancora certezze, occorre basarsi sulle scoperte che gli scienziati fanno dallo studio diretto del virus, che per la maggior parte arriva dallo studio sui pazienti ricoverati.

Ultimo Aggiornamento: 28/04/2020 15:59