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Seminare parole ai tempi del Covid

Pubblicato: 09/10/2020 08:57

Piaccia o meno, i tempi sono cambiati e questo cambiamento durerà molto molto a lungo, probabilmente per sempre.
E non mi riferisco a quanto durerà ancora l’emergenza Covid, ma a tutto quel che tale emergenza ha significato dal punto di vista del differente modo con il quale abbiamo interagito nei mesi precedenti, interagiamo in questo momento e interagiremo in futuro. 

Vetri, mascherine e distanze

Partiamo da un dato scientifico, che riguarda il modo in cui funzioniamo: il cervello umano “incarna” le esperienze che lo circondano e trasforma la percezione in realtà.
Si chiama “embodied cognition”, cognizione incarnata, ed è oggetto di studio da parte di tutti coloro che vogliono scoprire in che modo sia possibile modificare i comportamenti delle persone semplicemente cambiando alcune variabili presenti nell’ambiente circostante (la maggior parte delle ricerche sul tema provengono dal neuromarketing, infatti).

Il Covid e le nostre fragilità

Il materiale vetro, ad esempio, per le sue caratteristiche intrinseche, produce nel cervello umano senso di freddezza e di fragilità. Ci rende più insicuri, più guardinghi e instilla in noi senso di diffidenza verso l’altro (verificate che cosa succede se tentate di far camminare un cucciolo o un bambino piccolo su una lastra di vetro, per quanto solida, sotto la quale si vede il vuoto).

Il pregiudizio dell’empatia

Ebbene, molte interazioni oggi si sono evolute (o involute, dipende dai punti di vista) da interazioni “face to face” a interazioni “virtuali”, mediate da display, per l’appunto, di vetro. Che si tratti del monitor di un pc o dello schermo di uno smartphone, ci parliamo attraverso vetri.

È piuttosto intuitivo comprendere che l’empatia fra gli interlocutori potrebbe subirne un pregiudizio.

Il cervello è in allarme

Altra questione riguarda i dispositivi sanitari che dobbiamo utilizzare per proteggerci dal contagio: mascherine chirurgiche, disinfettanti per le mani e termometri puntati in fronte come se fossero pistole (o scanner termici che ti accolgono nei negozi, non fa molta differenza) producono un costante senso di allarme nel nostro cervello rettile: tronco encefalico e amigdala vivono uno stress permanente e noi, per questo, ci troviamo costantemente stimolati da ormoni e neurotrasmettitori dello stress, come cortisolo ed empatia.

Germi, virus e febbre

Anche in questo caso, per quanto noi possiamo sentirci confidenti e sicuri, possiamo farci ben poco: la cognizione incarnata riguarda anche i vestiti e gli accessori che indossiamo e, non bastasse questo, il continuo richiamo a idee come germi, virus e febbre non migliora di certo le cose.

L’odore di disinfettante evoca l’idea di un ospedale, e non serve un esperto di comportamento umano per spiegarvi che tipo di emozioni possa suscitare l’idea di corridoi asettici, medici con mascherine (appunto) e malattie di varia natura.

Distanza fisica e distanza emotiva

Infine, parliamo di distanze: al crescere della distanza fisica corrisponde per il cervello una minor empatia.

Fate un veloce esperimento mentale. Immaginate che chiuda un negozietto proprio sotto casa vostra. Non ci siete mai entrati, ma ci siete passati davanti molte volte. Ora è chiuso, causa Covid. Scommetto che la cosa vi turberebbe almeno un poco. Anzi, vi toccherebbe, almeno un po’, da vicino.

Supponiamo ora che un negozio molto simile chiuda in uno sperduto villaggio di un paese lontano lontano. Non gli dedichereste nemmeno un pensiero.

Lei mi guardava con sospetto. Poi mi sorrideva e mi teneva stretto stretto

Eppure, a livello razionale, dovreste sperimentare le stesse emozioni. Che cosa cambia, invece? La distanza.

Ed eccoci al distanziamento sociale, che ci costringe a star lontani, a non toccarci, a guardarci con sospetto.

Che fine faranno le interazioni umane? Perderemo la capacità di empatizzare con altri esseri umani? Diventeremo tutti freddi come il ghiaccio? Chissà. Nel frattempo, usiamo la magia delle parole per compensare gli effetti di tutto quel che sta capitando. 

Parole che curano

Se è vero che non possiamo far niente rispetto alle situazioni di cui sopra, possiamo invece fare molto dal punto di vista del linguaggio.

Possono togliere a un uomo la libertà di stringere una mano, direi parafrasando il meraviglioso Viktor Frankl, ma non la libertà di parlare come gli pare.

Tutta una questione di ormoni

Che parole servono, dunque, in un modo che ci costringe a parlare attraverso schermi di vetro, a mascherarci e a star lontani dagli altri? Parole che producano serotonina, endorfine, ossitocina, sostanze benefiche che contrastano gli effetti negativi di sostanze meno benefiche come cortisolo e norepinefrina.

Usa la natura e l’endorfina è garantita!

Tutto il vocabolario legato al mondo della natura, ad esempio, fa di certo al caso nostro: se io scrivo “erba verde”, voi pensate a “erba verde” e il cervello rilascia una piccola dose di ormoni del benessere, perché il verde dell’erba ha un potere rilassante che agisce sul nostro cervello senza nemmeno che noi ce ne rendiamo conto.

Si chiama “innesco sul fresco”, che poi è quel che succede al supermercato, quando vi accolgono con ceste traboccanti di frutta e verdura e voi spendete di più e non sapete perché.

Il linguaggio del cervello

Ricordate, se non avete ancora letto miei altri articoli (orrore!) che il cervello non distingue fra linguaggio letterale e linguaggio figurato: perciò, se io scrivo che oggi dobbiamo piantare quei semi linguistici che daranno i loro frutti nel corso del tempo, voi leggete “piantare” e “semi” e “frutti” e il gioco è fatto: l’endorfina è garantita.

Le regole del viaggio

Lo stesso discorso vale per il vocabolario legato alla metafora del viaggio. Se io scrivo che in questo percorso affronteremo passo a passo tutte le tappe che vanno toccate per diventare esperti di intelligenza linguistica e mettere a frutto le cose che state imparando, voi leggete “percorso”; “passo a passo”, “tappe”, “mettere a frutto” e “toccate”, così che oltre a pensare al viaggio pensate anche a “contatto” e “natura”.

Questione di contatto

Piuttosto semplice, se conoscete le regole del gioco. A frasi ispirate al vocabolario metaforico “natura” e “viaggio” aggiungete tutto quel che riguarda il contatto, la vicinanza, il caldo, tre grandi aree tematiche che hanno il potere linguistico di stemperare gli effetti deleteri di vetri, distanze e mascherine: vi sono vicino in questa fase del percorso, restiamo in contatto, vi porgo il mio caloroso benvenuto, prendiamo in mano la situazione, abbracciamo nuove idee, tocchiamo con mano la qualità di questo prodotto, uniamo le forze, scaldiamo gli animi e chi più ne ha più ne metta.

L’idea è seminare di queste parole qualsiasi terreno fertile: dai post social ai messaggi in chat, dalle nostre email ai nostri siti internet e, ovviamente, il nostro linguaggio. 

Compensiamo

Quel che possiamo fare con le parole, quindi, è gestire quello che non possiamo controllare: se è vero che non possiamo controllare, appunto, le condizioni ambientali nelle quali stiamo vivendo, è altrettanto vero che possiamo gestirle al meglio, per smorzare gli effetti di una mascherina con una metafora appropriata.

Ci vuole studio, un po’ di pazienza (cambiare il vocabolario è impresa che richiede un po’ di pratica costante) e la consapevolezza che siamo noi, con le nostre parole, a fare la differenza. Come sempre, la conoscenza rende liberi.

Dizionario di Borzacchiello

(a cura dell’autore)

CERVELLO RETTILE: dal punto di vista neurofisiologico, è la parte più nascosta del nostro cervello, che comprende il tronco encefalico e ghiandoline varie e che si occupa delle nostre funzioni istintuali e primarie. Deve il suo nome a Paul McLean che ha teorizzato l’idea del cervello trino e che comprende appunto il rettile, il limbico e la neocorteccia. Le ultime ricerche sconfessano questa divisione così netta che, comunque, è utile per distinguere funzioni e dinamiche della nostra materia grigia, laddove presente.

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2022 11:01