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Il governo Draghi dimostra ancora una volta che la politica italiana ha un problema con le donne

Pubblicato: 13/02/2021 12:51

Il governo Draghi è ufficialmente nato, dopo la presentazione della lista dei ministri ieri sera al Quirinale. L’ex presidente della Bce ha mantenuto il massimo riserbo fino all’ultimo, con i partiti, con la stampa e con i cittadini, lasciando i nomi dei possibili papabili ministri a ipotesi e speculazioni.

Dopo la presentazioni della rosa di nomi dei Ministeri, la sorpresa non è mancata. Non solo tra chi si aspettava un governo più tecnico che politico, ma soprattutto per quanto riguarda le donne. Le ministre indicate da Mario Draghi hanno mostrato nuovamente che la politica soffre di un peccato originale per quanto riguarda la questione femminile, usata più come strategia di marketing che come elemento fondamentale per imporre una spinta propulsiva al motore economico e sociale del Paese.

Governo Draghi: donne, The Social Post e quote rosa

La redazione di The Social Post è formata da molte donne, la maggioranza (non per una volontà specifica), e le posizioni sono varie come le donne stesse che la compongono.

Nel corso degli anni, come nelle ultime ore, ho avuto varie occasioni di confrontarmi con la direttrice, Marta Pettolino, sulla questione di genere, e benché la nostra idea sulla parità necessaria per le donne coincida, spesso abbiamo divergenze sull’attuazione delle quota rosa e del femminismo e su quale ruolo debba o non debba essere assicurato alle donne ai vertici. Il dibattito e il confronto sulle idee, quando si tratta di temi delicati come questi, non deve mai mancare, né nella società né, in particolare, in una redazione

Il governo Draghi tradisce le donne, ancora una volta

Tornando alla nomina delle ministre del governo Draghi, dire che sono state un’amara sorpresa è un’eufemismo. Le voci che circolavano in questi giorni, e l’atteggiamento dello stesso presidente incaricato in passato, hanno fatto intuire che finalmente sarebbe stato dato uno spazio non di rappresentanza ma di sostanza alle donne.

Le indiscrezioni parlavano di una ripartizione equa delle cariche nei Ministeri, con almeno 15 donne in ruoli chiavi (finalmente). La conclusione è che si sono avute solo 8 nomine femminili, di cui 6 di ministre senza portafoglio. Nello specifico, 3 ministre appartengono a partiti di centrodestra (2 di Forza Italia, 1 della Lega), 1 è stata espressa dal Movimento 5 Stelle, 1 di Italia Viva, le restanti sono cariche tecniche.

La sinistra non pervenuta sulle donne

A prima vista una considerazione che salta all’occhio è come i partiti di centro-sinistra abbiano fallito ad esprimere donne ministre. Non è una novità per alcuni, come il PD, in cui la questione di genere è il maggior handicap del partito. La segreteria di Nicola Zingaretti è stata letteralmente sommersa dalle critiche per questo ennesimo scivolone, ma la storia parte da lontano.

Nel 2018 ben 400 donne del Partito Democratico hanno scritto una lettera ai vertici dem per contestare la direzione fatta di soli uomini, chiedendo più spazio nelle stanze dei bottoni dove le decisioni vengono prese, definendole “trattative di soli uomini“. Recentemente abbiamo visto come la candidatura spontanea di Monica Cirinnà, senatrice dem, che si è detta disponibile a partecipare alle primarie per la corsa a sindaco di Roma, sia stata ignorata completamente e accantonata in fretta.

Nessuno spazio per le donne progressiste nella politica

Allargando la lente si nota un altro elemento: le donne in posizioni di rilievo nella politica italiana, e il governo Draghi ne è stata la conferma, non fanno parte dell’area progressista, anzi sono cattoliche e conservatrici. L’esempio più fulgido della leadership femminile è non a caso Giorgia Meloni, la presidente di Fratelli d’Italia.

I partiti di destra hanno spesso fatto vanto della componente femminile tra i loro ranghi, ma la presenza di donne non garantisce che la politica portata avanti sia fatta per le donne. Fratelli d’Italia, per dirne una, è più volte finita nel mirino per le posizioni anti-abortiste espresse dalle giunte comunali che guida.

La stessa Giorgia Meloni ha chiesto recentemente che le linee guida del ministro Speranza sulla somministrazione della Ru486 nei consultori venisse ritirata. Gli attacchi alla legge 194 sono reiterati e trovano spazio nelle associazioni pro-vita e, ancora, nel contestato Congresso della famiglia, a cui la leader di Fratelli d’Italia ha preso parte tenendo anche un discorso. In quest’ottica, le donne vengono associate alla famiglia, più che altro.

Le ministre del governo Draghi

Il tema dell’aborto, diritto fondamentale dell’autodeterminazione femminile, ci porta direttamente alle posizioni delle ministre del governo Draghi, in cui la più progressista può essere considerata Mara Carfagna. Questo ci dice molto sulla rappresentanza delle donne, reazionarie o al meglio moderate o del tutto assenti sulla scena politica.

Marta Cartabia: contro aborto, famiglie arcobaleno ed eutanasia

Particolarmente contestata in queste ore è Marta Cartabia, nuova ministra della Giustizia. Nessuno mette in dubbio la grande preparazione in campo giuridico della costituzionalista, ma molti dubbi sorgono leggendo alcune sue posizioni espresse negli anni. Cartabia, d’altronde, è una cattolica da sempre, molto vicina ad ambienti di Comunione e Liberazione, come lo stesso Mario Draghi.

La prima donna presidente delle Corte Costituzionale ha espresso posizioni molto critiche sui “nuovi diritti” (aborto, eutanasia, matrimonio tra omosessuali, identità di genere), che sfiorano l’ultra-cattolicismo. “I cd. ‘nuovi diritti’ si alimentano di una concezione in cui l’uomo è ridotto a pura capacità di autodeterminazione, volontà e libera scelta“, scrive su IlSussidiario.net.

È così che si arriva persino ad affermare il ‘diritto a non nascere’ o il ‘diritto a darsi la morte’, il cui effetto è la negazione del soggetto stesso“, continua, “Fuori da una concezione creaturale in cui l’uomo è diretto rapporto con l’infinito, non si dà dignità umana e i diritti, anziché costituire la massima valorizzazione della persona, aprono la strada al suo annientamento“. Una versione tutta italiana di Amy Coney Barrett, la giudice della Corte Suprema eletta da Trump, in sintesi.

Chi sono le altre ministre del governo Draghi

Marta Cartabia non è l’unica esponente di una visione lontana dal progresso femminile nel governo. Erika Stefani, leghista e nuova ministra delle Disabilità, si è associata in passato, con l’Associazione ProVita onlus, in particolare per quanto riguarda la battaglia contro l’utero in affitto, un termine dispregiativo usato in Italia per la maternità surrogata, una forma di gestazione assistita.

Un commento in particolare lo merita Elena Bonetti, ministra delle Pari Opportunità. Cosa aspettarci da una donna che si è fatta notare per la prima volta quando ha rassegnato le dimissioni dallo stesso dicastero nel governo Conte bis quando ha ricevuto l’ordine dal capo del suo partito, Matteo Renzi?

La scena imbarazzante nella conferenza stampa, con il leader di Italia Viva fiancheggiato da Bonetti e da Teresa Bellanova mute, la ricordiamo tutti. Due donne che rinunciavano alla carica hanno avuto 2 minuti di spazio per parlare delle loro posizioni, mentre Renzi declamava contro il governo di cui faceva parte fino a un minuto prima.

Le speranze disattese, ancora

A rimanere in queste lunghe giornate è l’amarezza. Le donne in politica in Italia rimangono espressione di una concezione antiquata della femminilità. Mentre chi rimane fuori dall’agone politico deve combattere questa arretratezza. A dicembre, secondo l’Istat, il 99% dei 100mila posti di lavoro perso erano di donne, che hanno visto la loro posizione peggiorare con la pandemia di coronavirus, tra la necessità di far fronte alla cura domestica e di mantenere un posto di lavoro.

La difesa del mondo femminile rimane vuota retorica da sciorinare l’8 marzo, Giornata mondiale dell’ipocrisia sulle donne. E mentre tutti si riempiono la bocca sull’importanza di coinvolgere le donne per la crescita del Paese, alla prova dei fatti rimaniamo fuori dalla gestione del potere, subordinate all’uomo.

Probabilmente tra i sottosegretari del governo Draghi ci sarà una forte presenza femminile, per dimostrare un’inclusività che rimane solo di facciata. In fondo, in Italia, la regola è che le donne appaiano, ma che la conduzione dei giochi rimanga fermamente in mani maschili.

Ultimo Aggiornamento: 16/02/2021 10:10