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Batterio killer uccide 4 neonati a Verona, svolta sul caso: 7 indagati per omicidio colposo nell’ospedale

Pubblicato: 06/10/2021 23:50

Svolta dall’inchiesta per il batterio killer che ha colpito numerosi bambini all’ospedale della Mamma e del Bambino di Verona, provocando morti e gravissimi danni cerebrali ad altri neonati. L’indagine ha portato infatti all’iscrizione nel registro degli indagati di 7 persone: sono tutti ex vertici e medici della struttura.

Verona, batterio killer infetta 89 neonati: 4 morti nel reparto

La vicenda è partita nel 2020 da una relazione presentata dalla Commissione regionale d’inchiesta, allarmata dai numerosi casi e dalle denunce che sono emersi all’ospedale della Mamma e del Bambino. Da lì la scoperta di un’epidemia di Citrobacter, il cosiddetto batterio killer che avrebbe contagiato 89 bambini, causando la morte di 4 di loro e che avrebbe reso cerebrolesi altri 9. Una tragedia immane, specie perché si è scoperto che il batterio avrebbe “nidificato” in un rubinetto usato dai sanitari per l’acqua usata assieme al latte dei bambini.

Dopo la chiusura del punto nascite, nel mirino sono finiti medici e dirigenti dell’ospedale: a novembre 2020 gli inquirenti hanno evidenziato le possibili responsabilità del direttore ospedaliero Francesco Cobello, che sarebbe stato informato già nel 2019 della presenza di almeno un caso di Citrobacter. La vicenda si è però ampliata e ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di altre 6 persone.

Batterio killer uccide 4 bambini: chi sono gli indagati dell’inchiesta a Verona

La Procura di Verona, riporta Adnkronos, sta indagando 7 tra medici e vertici dell’ospedale della Mamma e del Bambino. Le ipotesi di reato sono omicidio colposo e lesioni colpose gravi e gravissime in ambito sanitario. L’indagine sul Citrobacter “vuole verificare se la condotta dei sette indagati sia stata corretta o abbia potuto causare le morti e i danni subiti dai neonati“. Secondo quanto riportato da numerose fonti, oltre al direttore generale Cobello gli indagati sono: il direttore sanitario Chiara Bovo; il direttore medico Giovanna Ghirlanda, il primario di pediatria Paolo Biban; Evelina Tacconelli della direzione Malattie Infettive, altro settore che secondo gli inquirenti forse avrebbe potuto e dovuto intervenire; il primario facente funzioni dell’Unità Operativa di Microbiologia e Virologia Giuliana Lo Cascio; e infine il medico con funzioni di risk manager dell’ospedale, Stefano Tardivo.

La loro posizione è la vaglio delle indagini: ci si domanda se dal 2018, anno in cui sarebbe stato rilevato il focolaio epidemico per la prima volta, al 12 giugno 2020 quando venne chiuso il più grande punto nascite del Veneto, la catena di comando abbia fallito sia nel garantire un ambiente sanitario a norma che ad intervenire per fermare la tragedia. Il pm Angela Barbaglio, in un’intervista al Corriere di Verona, ha specificato che “Il coinvolgimento dei medici è dovuto al fatto che, nei rispettivi ruoli che ricoprivano all’epoca, nel momento in cui comparvero le prime avvisaglie, i primi segnali di allarme sulla possibile presenza del Citrobacter, a nostro avviso avrebbero omesso di adottare quei provvedimenti che avrebbero potuto evitare il peggio“.

7 indagati per il batterio killer: la reazione della mamma di una delle vittime

La notizia del giorno è stata accolta anche dai familiari delle vittime, i 4 neonati morti a causa del batterio killer contratto proprio in quell’ospedale di Verona. È soprattutto grazie a loro se si è arrivati ai 7 indagati di oggi. A far scattare tutto è stata infatti la denuncia di Francesca Frezza, mamma di Nina. Al Fatto Quotidiano, ha dichiarato: “Quello che provo oggi è un senso di giustizia. Ho sempre pensato che sarebbe andata così, non per una fiducia generica nella giustizia, ma perchè non ho mai nutrito il dubbio che la Procura non lavorasse seriamente“.

Portavoce del dolore di numerose famiglie, ha poi aggiunto: “Questo è un primo punto importante che dimostra come la struttura sanitaria di uno dei più importanti ospedali del Veneto abbia vacillato. Non si sono accorti di quello che stava accadendo, del focolaio infettivo in atto. E questo è avvenuto per un periodo lunghissimo“. Ora ne arriverà un altro altrettanto lungo: gli indagati avranno possibilità di nominare consulenti di parte, mentre la Procura avrà il compito di trovare un nesso causa-effetto nelle loro azioni tale da giustificare un capo d’accusa.